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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca Casal di Principe

Soldi del clan: processo alle battute finali. In 9 rischiano 50 anni di carcere

I legali di Magliulo e Gagliardo provano a smontare le argomentazioni della Dda

Proseguono le discussioni dei legali delle 9 persone coinvolte nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti Rfi affidati a ditte che sarebbero legate al clan dei Casalesi.

Dinanzi al Gip Rosaria Maria Aufieri del tribunale di Napoli hanno preso la parola gli avvocati Carlo De Stavola  e Michele Tedesco rispettivamente nell'interesse di Antonio Magliulo e Augusto Gagliardo. I legali hanno provato a smontare le tesi della Dda di Napoli facendo richiesta di assoluzione per i loro assistiti. Si torna in aula nel mese di luglio per le discussioni dei legali Carlo De Stavola e Claudio Botti nell'interesse di Dante Apicella.

Hanno scelto il rito abbreviato Giulio Del Vasto, Pietro Andreozzi, Dante Apicella, Augusto Gargiulo, Luigi Russo, Pasquale D'Ambrosca, Antonio D'Ambrosca, Guido Giardino. Il sostituto procuratore Graziella Arlomede della Dda di Napoli nella sua requisitoria chiese 50 anni di carcere come pena complessiva. In particolare, 8 anni di reclusione sono stati invocati per Dante Apicella; 10 anni per Augusto Gagliardo ed Antonio Magliulo; 6 anni per Giulio Del Vasto e Luigi Russo; 4 anni e 3 mesi di reclusione per Pasquale ed Antonio D'Ambrosca; 3 anni di reclusione per Pietro Andreozzi e Guido Giardino. Altri 59 indagati hanno scelto il rito ordinario e compariranno dinanzi alla Seconda Sezione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere in composizione collegiale presieduta dal giudice Loredana Di Girolamo.

L'inchiesta in cui gli indagati sono stati coinvolti è quella nota come "Binario d'oro", con gli appalti nelle ferrovie finiti nelle mani di imprenditori ritenuti vicini al clan. In particolare Nicola e Vincenzo Schiavone (entrambi a giudizio con l'ordinario) avrebbero stretto un patto con il capoclan Franscesco Schiavone Sandokan che avrebbe consentito loro di far crescere i propri affari. I soldi sarebbero stati ripuliti attraverso un altro imprenditore, Dante Apicella, con cui le attività degli Schiavone si sarebbero incrociate. Emergono dalle indagini, infatti, fatture pagate ad Apicella dagli Schiavone attraverso società ritenute di comodo. Gli ulteriori accertamenti hanno fatto emergere le attività di Apicella, svolte anche attraverso una rete di prestanome, che ha sia continuato ad operare - nonostante la condanna nel processo Spartacus - nel settore degli investimenti e degli appalti sia a fungere da collettore - è questa la tesi della Dda - delle somme di denaro pagate dagli imprenditori avvantaggiati negli appalti grazie all'intervento del clan. 

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