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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca Casapesenna

Caseificio coi soldi di Zagaria, il pentito inguaia l'amministratore giudiziario

Massimiliano Caterino ha parlato in tribunale: "Era a conoscenza di tutto"

"L'amministratore giudiziario sapeva ogni cosa, anzi grazie alla sua compiacenza Carmine Zagaria vendeva latte in nero al caseificio Santa Rita di Giovanni Nobis sottraendo così i soldi all'azienda sottoposta a sequestro e amministrata proprio da Aristide Casella". Sono le dichiarazioni rese dal pentito Massimiliano Caterino nel processo per interposizione fittizia aggravata di una azienda bufalina di Brezza intestata alla mamma di Zagaria, Raffaella Fontana e gestita dalla famiglia Zagaria che si sta celebrando dinanzi alla prima sezione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere presieduta da Giovanni Caparco con a latere Francesco Maione e Patrizia Iorio.

Il pentito, escusso dal sostituto procuratore della Dda Ciro Esposito ha parlato di un sistema di sovraffitti ottenuto grazie alla collaborazione di un commerciante di mangimi del nolano "a disposizione di Zagaria che faceva pure da cambio assegni così l'azienda sequestrata si impoveriva e loro si arricchivano". Si torna in aula nel mese di giugno per l'escussione del commerciante nolano imputato in procedimento connesso che rese dichiarazioni eteroaccusatorie. Sotto processo sono finiti i fratelli del boss Michele Zagaria, Antonio e Carmine, l'amministratore giudiziario Aristide Casella, i fratelli Antonio e Fernando Zagaria, omonimi e non parenti del boss, che hanno messo a disposizione della famiglia mafiosa le loro aziende. La guardia di finanza nel maggio 2020 ha eseguito un sequestro preventivo di una azienda di allevamento di bufali e della produzione di latte crudo di Brezza, in quanto ritenuta nelle mani dei fratelli del boss Michele Zagaria, Antonio e Carmine e da loro utilizzata per favorire gli interessi economici del clan.  

L'azienda, costituita da stalle, locali per la mungitura, depositi per i mangimi, attrezzature agricole e per la mungitura e circa 350 capi di bestiame, secondo il Gico e la DDA sarebbe stata impiegata dai fratelli Zagaria come "schermo" per "reimpossessarsi", in maniera occulta e fraudolenta, dell'azienda bufalina di proprietà della madre Raffaela Fontana, da tempo affidata alla gestione di un amministratore giudiziario in quanto già colpita da diverse misure giudiziarie, per soli 100 mila euro, attraverso l'acquisto in un'asta giudiziaria. Grazie alle aziende dei fratelli  Antonio e,  Fernando Zagaria  era consento al clan di proseguire nella gestione di un’attività economica particolarmente remunerativa e diffusa su quel territorio, nonostante lo spossessamento della storica azienda di famiglia.  

In particolare, dopo aver sostanzialmente esautorato dalle proprie funzioni l’amministratore giudiziario della ditta “Raffaela Fontana”, a partire dal 2006 i fratelli Carmine e Antonio Zagaria hanno, di fatto, operato una vera e propria cogestione tra le citate aziende e quella intestata alla madre attraverso:  
- la coincidenza della sede legale e operativa e il conseguente utilizzo promiscuo di gran parte dei locali, degli impianti e degli animali già presenti all’interno dell’azienda sottoposta ad amministrazione giudiziaria;  
- la commistione, anche sotto il profilo contabile, dei rapporti commerciali con l’unico fornitore (una società operante nel settore dei mangimi) e l’unico cliente (una società di produzione casearia) che risultavano comuni alle aziende contemporaneamente presenti nello stesso luogo di esercizio dell’attività;      
- l’ampio ricorso all’interno di tali rapporti ad operazioni di sovra e sotto fatturazione in acquisto e/o in vendita, così da consentire la creazione di liquidità occulta che veniva sistematicamente sottratta dalle casse aziendali per essere messa a disposizione della famiglia Zagaria e, quindi, dell’omonimo clan.  

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