rotate-mobile
Cronaca Casal di Principe

Soldi di Schiavone, tutti assolti: "Rapporto fraterno con Sandokan ma non sono in affari"

La sentenza del gup Comella a carico di 8 persone accusate di riciclaggio ed intestazione fittizia di beni

Un rapporto "fraterno" che tuttavia non giustificherebbe "la contestazione accusatoria avente ad oggetto l'attuale condivisione e comune gestione di affari economici e di natura imprenditoriale riferibili al sodalizio di appartenenza di Francesco Schiavone detto Sandokan, ovvero il clan dei Casalesi". Con queste parole il gup Linda Comella del tribunale di Napoli ha prosciolto dall'accusa di riciclaggio ed intestazione fittizia di beni 8 imputati, tra cui l'imprenditore Nicola Schiavone, alias 'o Munaciello, a processo nell'ambito della vicenda degli appalti della Rete Ferroviaria. 

I nomi

Il gup del tribunale di Napoli ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere, oltre che per l'imprenditore Nicola Schiavone, anche per Teresa Maisto, 67 anni di Giugliano in Campania; Michelangelo Regine, 72 anni di Forio; Vittorio Scaringia, 53 anni di Aversa; Amelia Schiavone, 40enne; Oreste Schiavone, 37enne di Casal di Principe; Pasquale Gianluca Schiavone, 34 anni; Anna Maria Zorengo, 79 anni di Aversa. Gli indagati sono stati assistiti dagli avvocati Mario Griffo, Elia Rosciano, Salvatore Pane, Umberto Del Basso De Caro, Luigi Tuccillo e Caterina Greco. 

La contabilità occulta

La vicenda trae origine proprio dal procedimento sugli appalti. Secondo l'accusa gli indagati - tra cui alcuni familiari dello stesso Nicola Schiavone - avrebbero fatto da prestanome dell'imprenditore che sarebbe risultato mero consulente di attività di cui invece sarebbe stato il dominus. In particolare nel corso di una perquisizione in un immobile della famiglia Scaringia sarebbe stata rinvenuta la presunta contabilità 'occulta' con le cartelline che andavano bruciate o strappate. Per l'accusa, dunque, gli Scaringia avrebbero fatto da "cassaforte" dell'imprenditore Schiavone. 

Nessun rapporto di affari

Ma per il gup non risulta dimostrato da un lato la provenienza delittuosa delle provviste impiegate (per il riciclaggio) dall'altro il fatto che le operazioni fittizie fossero state realizzare per evitare misure di prevenzione (per l'intestazione fittizia). In altri termini, gli elementi offerti dall'accusa "benché dimostrativi di un vecchio rapporto fraterno tra Nicola Schiavone e la famiglia di Sandokan e di una verosimile comunanza di affari molto risalente nel tempo (ascrivibile agli anni 70-80-90) non giustificano la contestazione accusatoria avente ad oggetto l'attuale condivisione e comune gestione di affari economici e di natura imprenditoriale". 

Le accuse generiche di Nicola Schiavone

Infine, il giudice bacchetta il collaboratore di giustizia Nicola Schiavone, figlio proprio del boss Francesco Sandokan, che nonostante "sembri voler coinvolgere l'imprenditore amico di famiglia negli affari del clan" nel concreto "non è in alcun modo incisivo nel suo racconto" che "rimane nel generico non consentendo una ricostruzione significativa a tal riguardo". 

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Soldi di Schiavone, tutti assolti: "Rapporto fraterno con Sandokan ma non sono in affari"

CasertaNews è in caricamento