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Domenica, 28 Aprile 2024
Cronaca Casal di Principe

'Soci di Zagaria', figlio imprenditore ucciso dal clan: "Legalità sempre presente in azienda"

Noviello testimone al processo ai Diana: "Lavoro con loro dal 2008. Li scelsi perché abbiamo avuto la stessa sventura"

"Ho conosciuto i fratelli Diana nel 2008 perché vennero a conoscenza delle mie difficoltà a trovare lavoro dopo la morte di mio padre e mi offrirono un lavoro. Tenni il bigliettino con il loro contatto per una settimana. Feci una associazione di idea di cui mi dovetti ricredere: Diana-Casapesenna-Rifiuti. Avevo un pregiudizio nei loro confronti. Una chiacchierata con mia moglie mi dissuase e quando mi sono deciso ad incontrarli mi riconobbi come persona, avevamo avuto la stessa sventura, così li scelsi".

Sono le dichiarazioni di Massimiliano Noviello, figlio del compianto Domenico Noviello titolare di una autoscuola a Castel Volturno che fu ucciso il 16 maggio 2008 dai Casalesi per essersi rifiutato di pagare il pizzo, rese nel corso dell'udienza celebrata dinanzi alla Terza Sezione Penale del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduta dal giudice Luciana Crisci, nel processo a carico dei fratelli Antonio e Nicola Diana accusati di concorso esterno in associazione mafiosa alla fazione Zagaria del clan dei Casalesi.

"Iniziai a lavorare con i fratelli Diana nel dicembre 2008 e da allora lavoro ancora con Antonio e Nicola. Giacché mi fu assegnata la scorta nel giugno 2008 nello stabile della Erreplast c'erano sempre le forze dell'ordine", ha spiegato Noviello chiarendo che la legalità è sempre stata presente in azienda in special modo con riferimento ai fornitori casertani. "Abbiamo dei fornitori campani che sono sottoposti a rigidi protocolli di legalità per poter collaborare con noi".

Nel corso dell'udienza è stato escusso anche l'ex presidente della Erreplast l'ingegnere Luciano Morelli che ha spiegato ai giudici che la società dopo la morte del padre dei germani Diana, Mario - ucciso dal clan dei Casalesi il 26 giugno 1985 in piazza a Casapesenna - "l'azienda si diresse verso attività più industriali con una regola aziendale ovverosia non mostrare all'esterno il volume dell'attività produttiva, si doveva mantenere un basso profilo. All'esterno non doveva trapelare nulla". L'ingegnere ha poi spiegato i rigidi protocolli di accesso all'azienda "solo tramite permesso e previo controllo della security". Si torna in aula a febbraio per una ricognizione degli atti processuali.

Secondo la ricostruzione del sostituto procuratore Fabrizio Vanorio della Dda di Napoli i due germani sono stati "espressione imprenditoriale" del capoclan dei Casalesi Michele Zagaria tanto da rientrare nel 'cerchio magico' degli imprenditori vicini a Zagaria che grazie alla loro attività nel riciclo della plastica facevano da cassa di cambio per gli assegni del clan o che in qualche modo fornissero liquidità al boss.

I fratelli Diana a cui venne attribuito il titolo di imprenditori anticamorra poiché figli di Mario Diana, vittima innocente della criminalità organizzata, sono coinvolti nell’indagine che attraverso le dichiarazioni di collaboratori di giustizia, permise di ricostruire l’esistenza di un rapporto operativo tra il mondo dell’imprenditoria e la fazione Zagaria del clan dei Casalesi. Il patto criminale stretto col clan avrebbe consentito agli imprenditori di godere di una protezione e di una tranquillità operativa tali da permettere agli stessi di raggiungere, nell’area territoriale di competenza del clan, una posizione imprenditoriale privilegiata. In cambio, secondo le risultanze investigative, il clan avrebbe ottenuto dai Diana "prestazioni di servizi e utilità", quali il cambio assegni e la consegna sistematica di cospicue somme di denaro, necessarie ad alimentare le casse dell’organizzazione camorristica riconducibile a Michele Zagaria.

I due imputati nel loro esame hanno negato le accuse che sono state mosse loro dai collaboratori di giustizia come quelle di Francesco Zagaria alias Ciccio e’ Brezza, Attilio Pellegrino, Massimiliano Caterino che li individuavano come ‘partecipi’ negli affari del clan grazie ad investimenti fatti con lo stesso capoclan. I due fratelli Diana si sono definiti dei 'taglieggiati' e per far in modo che il messaggio di pagare venisse ben capito in alcuni degli stabili delle loro aziende ricevettero stese a colpi di pistola negli uffici amministrativi tanto poi da essere dislocati a Caserta o furti di camion di cui tramite una telefonata in azienda i gregari del clan ne rivendicavano la paternità.  

Nel collegio difensivo sono impegnati gli avvocati Carlo De Stavola, Claudio Botti, Giuseppe Stellato, Giuseppe Saccone.

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