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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca Casal di Principe

Tre dipendenti raccontano il terrore: "Vari atti intimidatori, estorsioni pagate con denaro personale"

È quanto emerso dalle dichiarazioni di tre dipendenti escussi nel corso dell'udienza celebrata dinanzi alla Terza Sezione Penale del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduta dal giudice Luciana Crisci, nel processo a carico dei fratelli Antonio e Nicola Diana accusati di concorso esterno in associazione mafiosa alla fazione Zagaria del clan dei Casalesi

Svariati atti intimidatori, un dipendente schiaffeggiato perché scambiato col titolare, un residuato bellico perfettamente funzionante lasciato in un compattatore pronto ad esplodere, colpi di arma da fuoco agli uffici amministrativi e le 'frizioni' in famiglia per le diverse vedute di gestione. È quanto emerso dalle dichiarazioni di tre dipendenti escussi nel corso dell'udienza celebrata dinanzi alla Terza Sezione Penale del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduta dal giudice Luciana Crisci, nel processo a carico dei fratelli Antonio e Nicola Diana accusati di concorso esterno in associazione mafiosa alla fazione Zagaria del clan dei Casalesi.

"Si sono susseguiti vari atti intimidatori nel corso degli anni in azienda. La preoccupazione e la tensione erano ben visibili sui volti di Armando e dei nipoti Antonio e Nicola" ha sottolineato lo storico dipendente addetto alla contabilità del gruppo di aziende che fa capo ai Diana. Il dipendente ha riferito anche in merito alle confidenze rese dai Diana, zio e nipoti sul fatto che fossero oggetto di estorsioni. "Loro pagavano al clan ma i soldi non erano quelli delle aziende, erano loro risorse private. Erano quelle che venivano utilizzate per i pagamenti delle estorsioni" ha chiarito il contabile. 

Secondo la ricostruzione del sostituto procuratore Fabrizio Vanorio della Dda di Napoli i due germani sono stati "espressione imprenditoriale" del capoclan dei Casalesi Michele Zagaria tanto da rientrare nel 'cerchio magico' degli imprenditori vicini a Zagaria che grazie alla loro attività nel riciclo della plastica facevano da cassa di cambio per gli assegni del clan o che in qualche modo fornissero liquidità al boss. I fratelli Diana a cui venne attribuito il titolo di imprenditori anticamorra poiché figli di Mario Diana, vittima innocente della criminalità organizzata, sono coinvolti nell’indagine che attraverso le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, permise di ricostruire l’esistenza di un rapporto operativo tra il mondo dell’imprenditoria e la fazione Zagaria del clan dei Casalesi. Il patto criminale stretto col clan avrebbe consentito agli imprenditori di godere di una protezione e di una tranquillità operativa tali da permettere agli stessi di raggiungere, nell’area territoriale di competenza del clan, una posizione imprenditoriale privilegiata. In cambio, secondo le risultanze investigative, il clan avrebbe ottenuto dai Diana "prestazioni di servizi e utilità", quali il cambio assegni e la consegna sistematica di cospicue somme di denaro, necessarie ad alimentare le casse dell’organizzazione camorristica riconducibile a Michele Zagaria.

I due imputati nel loro esame hanno negato le accuse che sono state mosse loro dai collaboratori di giustizia come quelle di Francesco Zagaria alias Ciccio e’ Brezza, Attilio Pellegrino, Massimiliano Caterino che li individuavano come ‘partecipi’ negli affari del clan grazie ad investimenti fatti con lo stesso capoclan. Erano taglieggiati e per far in modo che il messaggio di pagare venisse ben capito in alcuni degli stabili delle loro aziende ricevettero stese a colpi di pistola negli uffici amministrativi tanto poi da essere dislocati a Caserta o furti di camion di cui tramite una telefonata in azienda i gregari del clan ne rivendicavano la paternità. " All'esterno non era percepibile il volume di affari del gruppo di imprese ed è stata una scelta voluta quella di mantenere pochi capannoni per le lavorazioni" ha spiegato un altro dipendente fidelizzato dei Germani Diana chiarendo anche i ruoli in seno all'azienda." Armando si occupava delle assunzioni, i nipoti della attività tecnica. Ci sono state frizioni tra loro per la diversa visione di gestione dell'azienda. Nel 2009 Armando infatti andò via".

Si torna in aula a gennaio per il prosieguo dell’escussione dei testi della difesa. Nel collegio difensivo sono impegnati gli avvocati Carlo De Stavola, Claudio Botti, Giuseppe Stellato, Giuseppe Saccone

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