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Cronaca Villa Literno

Ras dei Casalesi con una grave cecità. "Non può restare in carcere"

Il tribunale di sorveglianza gli nega i domiciliari ma la Cassazione richiede una nuova 'verifica'

Il tribunale di Sorveglianza gli nega la detenzione domiciliare seppur cieco. La Corte di Cassazione annulla l'ordinanza impugnata con rinvio. È la vicenda che vede coinvolto uno dei più sanguinari affiliati del clan dei Casalesi, fazione Tavoletta, Tammaro Iavarazzo, 60enne di Villa Literno, coinvolto nel processo Fabiola costola dello Spartacus, condannato all'ergastolo per i plurimi omicidi consumatisi negli anni '90 perlopiù a Villa Literno e Castel Volturno nella faida di camorra tra casalesi e bardelliniani, dove persero la vita persone innocenti come Salvatore Ricchiello di 12 anni.

La prima sezione penale della Corte di Cassazione presieduta dal giudice Monica Boni ha accolto il ricorso presentato dal legale di Iavarazzo, l'avvocato Giovanni Cantelli, avverso l'ordinanza del tribunale di Sorveglianza di Ancona che ha respinto l'istanza di applicazione della detenzione domiciliare per il sodale del clan dei Casalesi. Il detenuto è affetto da una grave cecità e tale condizione ha determinato il suo trasferimento presso il carcere di Ancona. La sua condizione però per il tribunale di sorveglianza di Ancona non costituisce un caso di incompatibilità con il regime carcerario e per i magistrati di sorveglianza Iavarazzo è ancora socialmente pericoloso. Di qui il rifiuto di applicazione della detenzione domiciliare.

Dati però eccepiti dal legale tanto da proporre ricorso in Cassazione per violazione di legge e per vizio di motivazione dell'ordinanza impugnata. La Suprema Corte ha accolto le motivazioni del legale ritenendo che "le condizioni di salute del detenuto non sono state vagliate sotto il profilo dell'incidenza delle stesse sulla gravosità dell'espiazione inframuraria e la proficuità di un percorso trattamentale, negato". Quindi al giudice del rinvio spetterà "accertare la compatibilità delle condizioni di salute con il trattamento non inumano del regime carcerario nonché l'attualità della pericolosità sociale del recluso".

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