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Sabato, 27 Aprile 2024
Cronaca Casal di Principe

Nuove leve dei gruppi Schiavone e Bidognetti: 28 condanne. Inflitti 180 anni di carcere

La sentenza pronunciata dal gup nei confronti degli affiliati alle due compagini dei Casalesi. Tre assolti

Circa 180 anni di carcere, 111mila euro di multa e tre assoluzioni. È quanto disposto dal gup Nicoletta Campanaro del tribunale di Napoli nei confronti dei 31 imputati - che hanno scelto il rito abbreviato - coinvolti nella maxi operazione dei carabinieri del comando provinciale di Caserta coordinata dalla Dda di Napoli sulla riorganizzazione del clan dei Casalesi, in particolare delle fazioni Schiavone e Bidognetti.

Sono stati inflitti: 13 anni di carcere per Giovanni Della Corte, alias Cucchione; 12 anni di carcere ciascuno per Gianluca Bidognetti alias Nanà e Nicola Garofalo, detto Lino Badoglio; 11 anni di carcere ciascuno per Nicola Sergio Kader, alias o mastrone, e Giosuè Fioretto, alias 'o zio; 10 anni di carcere per Franco Bianco, alias Mussulin; 9 anni e 4 mesi di reclusione ciascuno per Giuseppe Granata e Vincenzo Di Caterino; 8 anni di reclusione ciascuno per Giuseppe Di Tella, Agostino Fabozzo, Federico Barrino, o pacciott, Francesco Cerullo, alias Ciccio; 7 anni ed 8 mesi di reclusione per Francesco Sagliano; 5 anni e 4 mesi di reclusione ciascuno per Salvatore De Falco, Giacomo D’Aniello, alias mimí o mister, e Antonio Lanza; 5 anni di reclusione ciascuno per Giovanni Stabile, Antonio Stabile, detto Tony, Marco Alfiero, Onorato Falco, Clemente Tesone; 4 anni di reclusione ciascuno per Katia e Teresa Bidognetti, Carlo D'Angiolella (assolto dall'accusa di associazione di stampo mafioso e condannato per ricettazione aggravata), Felice Di Lorenzo, Francesco Barbato, Luigi Mandato, Vincenzo D'Angelo. Assoluzione per Emiliana Carrino, Annalisa Carrano, alias Lulù, Francesca Carrino alias Checca. 

Agli indagati, oltre al reato associativo, sono stati contestati reati fine quali estorsioni in danno di numerosi operatori commerciali (al fine di piegarne la volontà, un imprenditore sarebbe stato ferito alle gambe da colpi d’arma da fuoco), traffico di sostanze stupefacenti e contestuale controllo dell’attività di cessione di droga realizzato da terzi soggetti, che sarebbero stati costretti a versare denaro a esponenti del clan per garantirsi la gestione delle piazze di spaccio secondo quanto ricostruito dai magistrati antimafia partenopei.

Nell’arco di oltre tre anni di investigazioni, è stata accertata l’operatività delle due fazioni del clan dei Casalesi consentendo di appurare, tra l’altro, lo svolgimento di incontri tra esponenti di vertice delle due fazioni criminali finalizzati a concordare il ripristino di una “cassa comune”, pur mantenendo la loro sostanziale autonomia nei termini operativi, economici e territoriali storicamente a loro appartenuti. Un indagato, inoltre, avrebbe curato la pianificazione e la realizzazione delle dinamiche criminali della fazione Schiavone al fine di attuare il controllo capillare del territorio e il reperimento di somme di denaro indispensabili per il sostentamento del gruppo, affermandosi quale punto di riferimento non solo per gli affiliati ma anche per coloro che, sebbene non contigui al sodalizio, consapevoli della sua posizione di vertice, a lui si sarebbero rivolti al fine di giungere alla soluzione di controversie e dinamiche private in puro stile ‘Il sindaco del Rione Sanità', opera di Eduardo De Filippo.

Per quanto riguarda il gruppo Bidognetti, è emerso che sarebbe stato ancora organizzato grazie ai figli dello storico boss. In particolare, il clan sarebbe stato gestito da Gianluca Nanà Bidognetti, il quale, sebbene detenuto, avrebbe utilizzato telefoni cellulari illegalmente introdotti nella struttura carceraria - e rinvenuti con l’ausilio di personale del Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria -, impartendo ordini e direttive funzionali alla direzione della fazione e a promuovere le attività illegali eseguite da sodali liberi, arrivando a organizzare un progetto omicidiario in pregiudizio di un noto affiliato, allo scopo di ridimensionare la sua ascesa criminale all’interno del clan. Le altre due figlie dello storico capoclan, in ragione della loro appartenenza alla famiglia, avrebbero invece continuato a percepire stabilmente somme di denaro provento delle diverse attività delittuose.

Il gruppo dei Bidognetti avrebbe esercitato il controllo delle attività delle agenzie di onoranze funebri dell’agro aversano, in virtù di accordi criminali stretti già negli anni Ottanta, attraverso un “consorzio di imprese”, che è stato sottoposto a sequestro; avrebbe condotto attività usuraie (con la cessione di somme di denaro in favore di imprenditori e cittadini che, sebbene in condizioni di forte difficoltà economica, si sarebbero visti applicare tassi d’interesse finanche del 240%); avrebbe avuto la disponibilità di armi attraverso le quali avrebbe espresso la propria forza intimidatrice per assicurarsi il controllo del territorio.

Nel collegio difensivo sono stati impegnati, tra gli altri, gli avvocati Vincenzo Di Vaio, Ferdinando Letizia, Giuseppe Stellato, Patrizio Della Volpe, Carlo De Stavola, Fabio Della Corte, Domenico Dello Iacono, Giovanni Cantelli, Angelo Raucci, Pasquale Diana, Generoso Grasso, Carmine D'Aniello, Michele Basile, Domenico Della Gatta, Alfonso Quarto, Giuseppe Guadagno, Mario Griffo, Enrico Iascone Maglieri.

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