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Cronaca Casal di Principe

Arsenale del clan, la Dda invoca 34 anni di carcere per 4 imputati

I pubblici ministeri Belluccio e Ranieri hanno chiesto 12 anni per il boss Del Vecchio

Trentaquattro anni di carcere e sessanta mila euro di multa. Sono state queste le richieste di condanna formulate nel corso della loro requisitoria dai sostituti procuratori della Dda di Napoli Simona Belluccio e Vincenzo Ranieri nei confronti di 4 persone ritenute responsabili di concorso in detenzione di armi da guerra, clandestine e comuni da sparo, complete di svariati accessori e di munizioni di diverso calibro, della ricettazione di alcune di esse con l'aggravante di aver agevolato il clan dei Casalesi.

Dinanzi al gup Giovanni Vinciguerra del tribunale di Napoli, i due magistrati antimafia hanno richiesto 12 anni di reclusione e 40mila euro di multa per Carlo Del Vecchio, storico boss già detenuto in regime di 41 bis a Catania; 9 anni di reclusione e 20mila euro di multa per il cugino Pasquale Diana; 6 anni e 6 mesi di reclusione per Carlo e Leopoldo Diana, fratelli di Pasquale Diana e cugini di Del Vecchio.

Gli imputati vennero coinvolti il 20 aprile 2022 in un’operazione della squadra mobile della questura di Caserta. I poliziotti reperirono nell'azienda zootecnica di Pasquale Diana (gestita coi fratelli Leopoldo, Carlo) sita in via Macedonio località Seponi a confine tra i comuni di Castel Volturno e Cancello ed Arnone, in prossimità di un pozzo artesiano, dei bidoni di ferro sotterrati contenenti armi da guerra e svariate munizioni. Sotterrate nei fusti sotto oltre due metri di terra i poliziotti rinvennero una granata per fucile M60 di fabbricazione ex Jugoslavia che, per la relativa pericolosità, veniva fatta brillare direttamente sul posto da operatori del Nucleo Artificieri della Polizia di Stato. C’erano poi due fucili mitragliatori kalashnikov, un fucile mitragliatore “Sites” mod. Ranger, tre pistole mitragliatrici UZI, un’ulteriore pistola mitragliatrice non meglio identificata, un fucile “a pompa”, due fucili cal. 12 con matricole abrase, un fucile Carabina di precisione comprensiva di gruppo ottico, una pistola calibro 9x21 con matricola abrasa nonché un silenziatore per arma da fuoco, svariati caricatori e quasi trecento munizioni di diversi calibri. La varietà e il numero di armi (anche da guerra) rinvenute permisero di ipotizzare che l’arsenale fosse riconducibile al clan dei casalesi. A tale conclusione gli inquirenti giunsero giacché i titolari del fondo erano i congiunti della famiglia Del Vecchio, imparentati a loro volta con il noto Francesco Schiavone detto “Cicciariello”. Difatti lo sviluppo investigativo della vicenda realizzato mediante intercettazioni ambientali, telefoniche e telematiche, nonché con escussioni di persone informate sui fatti e interrogatori, anche di collaboratori di giustizia, permise di ricondurre la titolarità delle armi al clan dei casalesi, in particolare al gruppo di Francesco Schiavone 'Cicciariello', e di definire le specifiche responsabilità in capo agli indagati sia nell’occultamento delle stesse e che nella loro conservazione.

Elemento chiave sono state le dichiarazioni di Pasquale Diana anche egli indagato che ha puntato il dito contro il cugino Carlo ammettendo che a occuparsi dell'occultamento dell'arsenale fosse stato il cugino Carlo e non Francesco e l'ex affiliato Massimo Vitolo ora collaboratore di giustizia. Si torna in aula nel mese di maggio per l’avvio delle discussioni dei legali. Nel collegio difensivo sono impegnati gli avvocati Carlo De Stavola, Pasquale Diana, Marco Monaco, Marco Castelluzzo.

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