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Al Teatro Ricciardi di Capua Antonella Morea in "Io la canto così. Omaggio a Gabriella Ferri"

Capua - E' la musica la “prima donna” nella rassegna di teatro Le Parole Cantate del Teatro Ricciardi, nata in collaborazione con Architempo e Eventi mediterranei, in scena da marzo a maggio prossimi. Tre spettacoli che faranno da preludio a Capua...

E' la musica la “prima donna” nella rassegna di teatro Le Parole Cantate del Teatro Ricciardi, nata in collaborazione con Architempo e Eventi mediterranei, in scena da marzo a maggio prossimi. Tre spettacoli che faranno da preludio a Capua Il Luogo della Lingua festival che, dal 2005 a giugno per via di quel famoso Placito del 960, primo documento scritto in volgare, trasforma la piccola ma importante città campana, culla della lingua italiana, in palcoscenico privilegiato per la letteratura, la musica, il cinema e il teatro. (www.illuogodellalinguafestival.com). Dopo Nunzia Schiano che il 4 marzo ha inaugurato la rassegna, sabato 1 aprile sarà la volta di Antonella Morea salire sul palcoscenico del teatro Ricciardi per diventare Gabriella Ferri nello spettacolo …Io la canto così!, racconto in musica scritto a quattro mani con Fabio Cocifoglia, che firma anche la regia. In scena con l’attrice FRANCO PONZO alla chitarra e VITTORIO CATALDI alla fisarmonica e violino.

“Se chiedi agli amici di Gabriella Ferri, a chi l’ha conosciuta e a chi ha lavorato con lei un aggettivo per raccontarla ti rispondono: “Uno solo? S’incazzerebbe!” – ricorda il regista Fabio Cocifoglia – “Dicono di lei: Era un pagliaccio straordinario, un pagliaccio di razza. Veramente l’amica ideale, ti dava tutto. Dove cantava, ecco, lì era il centro del mondo. La disperazione degli autori. Un po’ un pazzariello, uno sguardo dolce e disperato che non si può sfuggire. Era la maschera con cui lei nascondeva tutto, tutto quel macello. Molto sensibile, molto ansiosa, molto severa con se stessa, impegnativa. Ogni sua frase era un urlo lanciato al mondo. Donna bellissima che non aveva paura di imbruttirsi, eccentrica, feroce, anticonformista, libera, rivoluzionaria, troppo in tutto. Una grande madre, una grande moglie, una grande amante”.

“Un giorno passeggiavo per le strade di Roma – racconta Antonella Morea – entro in un negozio e vedo lei, Gabriella Ferri, il mio mito da ragazzina. Piena di bracciali, collane, anelli, tutta colorata come sempre. Ma quasi non la riconoscevo. Sembrava non riuscisse nemmeno a parlare. Com’è possibile? Stavo quasi per andarle incontro, come ad una persona di famiglia, come ad una sorella più grande che non vedi da tanto tempo. E mentre sto per andare mi vedo riflessa in uno specchio del negozio. Ora siamo in tre. La mente è volata a quando mi vestivo tale e quale a lei, capelli rigorosamente biondi con la frangia, trucco da trincea, sacchi di trucco, il rimmel sugli occhi due linee di filo spinato, il fondotinta un campo minato. E voglio vedere quando mi espugnano, sono come Gabriella Ferri, io!, così dicevo. E così mi chiamavano per gioco gli amici la Gabriella Ferri napoletana. Erano per me, quelli, anni duri, di trasformazione, di battaglia. E lì mi sono resa conto che per Gabriella Ferri la battaglia non era ancora finita. Manteneva la posizione eroicamente. Confusa, forse, ma sempre in piedi”. Uno spettacolo teatrale – musicale che ha di sottofondo anche le note della chitarra di Franco Ponzo e la fisarmonica ed il violino di Vittorio Cataldi.

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