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Cronaca

Camorra e voti, pizzini dal carcere al fratello del boss. “Alle elezioni a Caserta lavoriamo noi”

Le intercettazioni fanno emergere il ruolo di Giovanni Capone che mandava messaggio al fratello

“Io l’ambasciata l’ho avuta dal carcere di Santa Maria. L’ambasciata me l’ha mandata mio fratello”. E’ questa la frase che ha fatto ‘sobbalzare’ i carabinieri di Caserta che stavano indagando su un giro di droga nel Capoluogo e che si sono ritrovati nelle mani le prove dell’interfenza del clan Belforte alle elezioni regionali del 2015.

LE INDAGINI SULLE ELEZIONI

E' da qui che partono le indagini 'supplettive' che poi portano ad individuare anche altro, oltre all'imposizione di chi doveva lavorare per attaccare i manifesti: quell'accordo tra alcuni candidati ed il gruppo di Giovanni Capone (difeso dall'avvocato Nello Sgambato) per garantire centinaia di voti dietro il pagamento di cifre che variavano dai 3mila agli 11500 euro e che hanno spinto la Dda a chiedere ed ottenere l'arresto di Pasquale Corvino di Caserta e Pasquale Carbone di San Marcellino.

L'INTERCETTAZIONE: "L'AMBASCIATA L'HO AVUTA DA MIO FRATELLO"

La frase di Agostino Capone è stata registrata il 14 marzo 2015, alle 20 di sera, mentre lo stesso si trova in compagnia di un’altra persona al quale spiega chi gli ha dato la “consegna” del lavoro che dovrà fare per le elezioni regionali che si terranno di lì a poche settimane, cioè curare l’affissione dei manifesti dei candidati. “Mio fratello - afferma - ha detto che i manifesti a Caserta li devo fare io”.

I PIZZINI CONSEGNATI ALLA MOGLIE

Nella stessa conversazione emerge anche un altro dato molto interessante, cioè la preoccupazione di Giovanni Capone che dietro il fratello Agostino ci fosse anche Antonio Zarrillo detto ‘Boccetta’. Giovanni Capone, tramite il figlio, aveva dato precise indicazioni al fratello con le quali stabiliva che Zarrillo non doveva partecipare alla spartizione degli introiti derivanti dall’imposizione del’affissione dei manifesti. E, per il tramite dei pizzini che Giovanni Capone affidata alla moglie, venivano date indicazioni anche sulla parte che sarebbe dovuta essere “per il boss”: circa mille euro, con tanto di disposizione di come dovevano essere divisi ed i pagamenti da effettuare.

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