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Mercoledì, 24 Aprile 2024

Il racconto choc delle torture in carcere: "Fatti inginocchiare e picchiati coi manganelli" | VIDEO

Manganelli detenuti illegalmente dal personale della polizia penitenziaria e utilizzati sistematicamente per percuotere un numero considerevole di detenuti. I colpi venivano inferti anche con violenza nei confronti di quasi tutti i reclusi nel reparto Nilo del carcere di Santa Maria Capua Vetere. A riprendere questi atti le immagini di videosorveglianza posizionate nell'istituto e sottoposte a sequestro l'11 aprile 2020, cinque giorni dopo le presunte violenze avvenute nel penitenziario su cui sono in corso indagini della procura sammaritana. Gli atti di violenza si sarebbero prolungati per circa quattro ore nel pomeriggio del 6 aprile, con pratiche che la procura definisce "violente, indegne, degradanti e inumane" e messe a punto esclusivamente a fini "punitivi o dimostrativi". Con l'acquisizione dei video, nonostante tentativi di "ritardare - si legge in una nota diramata dalla procura - o impedire l'acquisizione delle immagini" e "ostacolare il regolare svolgimento delle operazioni", è stata accertata "in modo inconfutabile" la dinamica violenta, degradante e inumana che aveva caratterizzato l'azione del personale impiegato nelle attività, persone tra l'altro difficilmente riconoscibili perché munite di dispositivi di protezione individuale ma anche di caschi antisommossa, oltre che di manganelli e di un bastone. I detenuti, come ha spiegato il procuratore capo Maria Antonietta Troncone, sono stati fatti inginocchiare e poi colpiti coi manganelli. In questo modo non riuscivano a vedere gli autori dei colpi.

Tra i reati contestati agli indagati per le presunte violenze commesse il 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere ci sono anche la calunnia, il falso ideologico e il depistaggio. Condotte che sarebbero state poste in essere da numerosi indagati per coprire i delitti consumati. Foto false, scattate in celle vuote, per simulare il ritrovamento nell'istituto penitenziario di strumenti con cui i detenuti avrebbero potuto usare contro gli agenti di polizia penitenziaria, erano una "messa in scena - scrive la procura sammaritana - finalizzata ad accreditare la tesi secondo cui le lesioni subite dai detenuti fossero causate dalla necessità di vincere la loro resistenza". Le fotografie manomesse sarebbero state prodotte successivamente anche dal provveditore regionale per la Campania del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, produzione operata "allo scopo - scrive il Gip - di giustificare postumamente la perquisizione del 6 aprile 2020 e le violenze avvenute nella medesima data". Si trattava di "artificiose alterazioni di una pluralità di documenti, utilizzati e da impiegare come elemento di prova, azione diretta ad occultare e conseguire l'impunità dei delitti oggetto delle indagini".

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