'Tingere marzo', l'antico scongiuro contro gli influssi negativi
Nell'agro aversano viene ancora oggi praticata: è un modo per 'allontanare' malanni e danni ai raccolti
Il mese di marzo era molto temuto dai contadini perché, segnando il passaggio dall’inverno alla primavera e presentando un clima instabile con alternanza di freddo, caldo, pioggia, sole, vento, grandine. Insomma poteva risultare dannoso per le coltivazioni o creare problemi di salute come raffreddori, bronchiti, influenze.
Per evitare tutto questo, i cittadini di Casal di Principe ma in generale di tutto l'agri aversano avevano un rimedio: “Tingere marzo”, una sorta di “scongiuro” contro gli influssi negativi che il mese poteva avere sugli uomini e sulle cose, sicuramente retaggio di epoche primitive e pagane.
La sera del 28 o nel caso di anno bisestile 29 febbraio tutti, uomini, donne e bambini, si armavano di un carboncino preso dal camino e con esso disegnavano per terra, sui muri, sul focolare, un piccolo sgorbio con sembianze umane che voleva proprio rappresentare il mese che stava per arrivare; più brutto riusciva il disegno, più il sortilegio sarebbe stato efficace.
Se durante il mese ci si ammalava o succedeva qualcosa di negativo, era usanza chiedere: ”Ma, u tignist a Merz?” (ma lo tingesti marzo?) Perché non aver ottemperato a questo rituale, significava esporsi ai suoi “tiri mancini”. Infatti, se la risposta era negativa, si rispondeva: “E chill t’ha tignut'!” (E quello, cioè marzo, ti ha fatto nero!).
Com’è accaduto per altre usanze e per altri riti, nonostante la formula sia arrivata ai nostri giorni, non viene più praticata; ormai il rituale è andato perduto. Ai giovani rimane di essere testimoni di una eredità che apparteneva e dato vita alle proprie radici.