Matricola Zero Zero Uno: a teatro il dramma dell'Opg
A Capua in scena il secondo appuntamento di “FaziOpentheater”, la prima Rassegna Nazionale di Teatro – Danza – Arti Performative, ideata e diretta da Antonio Iavazzo. Dopo l’apertura con Pulcinellesco, ora è la volta dell’opera “Matricola Zero Zero Uno”, liberamente ispirata all’omonimo libro di Nicola Graziano con foto di Nicola Baldieri, per la regia di Antonio Iavazzo.Andrà in scena sia sabato (1 dicembre, ore 20.30), che domenica (2 dicembre, ore 18.30), presso Palazzo Fazio, in via Seminario. Gli interpreti: Gianni Arciprete, Angelo Rotunno, Claudia Orsino e Luigi De Sanctis. Assistente alla regia Chiara Russo; produttore esecutivo Elpidio Iorio.
Lo spettacolo è reduce dalla straordinaria anteprima nazionale che si è tenuta lo scorso aprile come evento finale della rassegna "PulciNellaMente", e da altri importanti appuntamenti che ne hanno decretato un grande consenso di pubblico e di critica. “Affrontare il tema del disagio, della follia è sempre un impegno non comune”. Precisa Antonio Iavazzo che aggiunge: “Bisogna entrare in un altro ordine di idee ma farlo, paradossalmente, con lucidità e con un progetto organico. Infatti i pericoli di un “qualunquismo” da cronaca e di un sentire demagogico sono sempre in agguato e avrebbero potuto farci divergere dalla nostra missione poetica. Perché fin dal primo momento, per me, di questo si è trattato.
Il bellissimo e toccante libro di Nicola Graziano basta, di per sé, a farci immergere in atmosfere di grande impatto emotivo. Quando l’autore mi ha chiesto di rendere “verticale” la sua opera, oltre all’oggettiva difficoltà di traslazione, mi si è subito evidenziata la necessità e anche oserei dire “l’urgenza”, di evitare luoghi comuni, dogmatismo e prassi quotidiane in relazione alla salute mentale. Così come mi era chiaro l’imperativo di non cadere in facili suggestioni pietistiche e in un moralismo da cronaca spicciola.
Il testo meritava altro. Il lavoro con gli attori, quindi, è stato quello di farne una versione estremamente poetica e sospesa. Nel nostro “manicomio” non ci sono grida, urla, aggressioni o altri cliché del disagio psichico. Ci sono struggenti richiami musicali, immagini dell’inconscio, rimandi a vite che forse, e dico forse, aspiravano ad altre compiutezze. Utilizzando alcune tracce dell’io narrante, in un climax “beckettiano”, intercalate da citazioni letterarie, si snodano piccole storie, rituali innocenti, danze volutamente goffe, reiterazioni da “giorni senza tempo”. Qui il dolore, che pure appare, assume i contorni e il valore di un “tutti dentro” e nella gestalt perseguita il segno poetico che abbiamo voluto dare allo spettacolo lo fa sbiadire nel gioco infinito della stessa follia”.