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Magistrati e detenuti si esibiscono insieme al teatro Garibaldi con ‘Epoché’

Lo spettacolo è stato anticipato dalle visite guidate nelle sale che ospitato il il Museo del Teatro e del Cinema

Una serata di grandissime emozioni in un Teatro Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere gremito in ogni ordine di posto dove è andato in scena “Epoché”, il progetto che ha permesso a magistrati e detenuti della casa circondariale di esibirsi insieme sul palco al fine di coltivare la conoscenza sul principio costituzionale della finalità rieducativa della pena. Un evento di straordinario valore sociale che ha generato un’atmosfera magica all’interno del luogo simbolo della cultura cittadina, raggiungendo il suo apice sulle note di “Imagine” quando tutti i presenti, tra cui il vescovo di Capua Salvatore Visco, i vertici della magistratura non solo sammaritana e le cariche istituzionali cittadine ma anche i parenti dei detenuti e gli studenti delle scuole sammaritane, hanno intonano il famoso brano di John Lennon con un evidente trasporto emotivo.

L’amministrazione comunale guidata dal sindaco Antonio Mirra ha fortemente voluto essere protagonista di questa significativa esperienza promossa ed organizzata in sinergia tra l’Ufficio di Sorveglianza e il Comune, in collaborazione con il Dipartimento di Giurisprudenza della Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, con il patrocinio della Struttura territoriale per il distretto di Corte di Appello di Napoli.

Lo spettacolo è stato anticipato dalle visite guidate nelle sale del Teatro Garibaldi che ospitato il Muteg, il Museo del Teatro e del Cinema, a cura degli studenti che, nelle ultime settimane, hanno partecipato agli incontri formativi tenuti in sala consiliare e all’Università dai magistrati Filomena Capasso, Lucia De Micco e Marco Puglia proprio sul principio costituzionale della finalità rieducativa della pena. Gli stessi ragazzi, lungo il percorso che ha permesso agli spettatori di visitare il Teatro, hanno spiegato nei dettagli gli obiettivi del progetto “Epoché” al fine di introdurre ogni singolo spettatore in quell’atmosfera che di lì a breve si sarebbe rivelata tanto suggestiva quanto coinvolgente.    

L’esibizione teatrale, sulla falsa riga di reading letterario, ha rappresentato un viaggio nella evoluzione stessa del concetto di detenzione passando attraverso le opere di Raffaele Viviani, Bob Dylan, Konstantinos Kavafis, Giorgio Gaber per raccontare cosa ha significato in passato e cosa oggi significhi l’esperienza carceraria. Una performance che ha racchiuso un inequivocabile messaggio: siamo tutti attori, nessuno escluso, del destino della nostra società.

Nella filosofia greca il termine epochè stava ad indicare la sospensione avvertita come necessaria ogni qual volta non vi fossero sufficienti elementi per poter rendere un giudizio. L’epochè è, quindi, sospensione, una immaginaria stasi del pensiero giudicante che anela alla conoscenza prima ancora che al giudizio. La performance ha avuto questo titolo perché ha custodito, in primo luogo, un invito rivolto allo spettatore: quello di non affrettarsi a giudicare chi porta con sé il pesante marchio del carcere. L’invito ad ascoltare, attraverso l’universale linguaggio del teatro, chi si sente molto spesso inascoltato. Non a caso il teatro riesce a interrompere, sospendendolo, il normale flusso del tempo asservendolo ad un nuovo andamento ed è così che si resta, d’improvviso, sospesi.

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