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Cultura

Non trasformiamo i Riti guardiesi nell'icona kitsch del Mezzogiorno d'Italia

Guardia Sanframondi - Sono arrivati da ogni parte del mondo. Giornalisti della carta stampata, dei media, fotografi, cineoperatori, studiosi, sociologi, psicologi, antropologi, esperti, ed ognuno di loro, nei prossimi giorni, a suo modo, dirà la...

Sono arrivati da ogni parte del mondo. Giornalisti della carta stampata, dei media, fotografi, cineoperatori, studiosi, sociologi, psicologi, antropologi, esperti, ed ognuno di loro, nei prossimi giorni, a suo modo, dirà la propria opinione, parlerà e scriverà dei Riti settennali di penitenza in onore dell'Assunta di Guardia Sanframondi. Sicuramente ci sarà chi, sulla carta stampata, in video, sul web, con superficialità scriverà, ancora una volta (come si è verificato) di barbarie, di brutale folclore, di "liturgia del sangue", di ritorno al passato, di incivile e truculenta esibizione. Si unirà al coro sostanzialmente negativo del recente passato e si mostrerà scandalizzato che, ancora oggi, nel ventunesimo secolo, si possa assistere a spettacoli di tal genere. Certo, è inutile nasconderlo, anche nei Riti guardiesi purtroppo c'è e sempre ci sarà il risvolto fastidioso, la speculazione, il mercatino, il kitsch, anche superstizione e feticismo, può darsi; ma quel che è certo è che nessun cittadino guardiese, figurante, penitente o "Battente", è "affiliato alla Camorra" e né tantomeno "si scuoia il petto volendo scontare anche le pene dell'anima", come imprudentemente affermò qualche anno addietro lo scrittore Roberto Saviano. E Guardia Sanframondi non è Najaf.
Come al solito ci sarà anche chi trasformerà i Riti guardiesi nell'icona kitsch di un Mezzogiorno d'Italia superstizioso e tardone, di tipo darwiniano, una sorta di pianeta delle scimmie, abitato da cittadini non evoluti, rimasti allo stato primitivo. Chi, ancora, non perderà l'occasione, per rivangare la questione piagnona del Meridione d'Italia, ove questione viene dal verbo questuare e meridione allude alla parola maledizione, con tutto il corredo semantico che l'accompagna: sottosviluppo, arretratezza, sofferenza, ritardo. E ci sarà pure chi non esiterà a tratteggiare l'anfiteatro dove ha luogo la rappresentazione dei Riti come una comunità depressa, trascurata, dimenticata da Dio e dallo stato e dai circuiti stradali e ferroviari, senza scuole né ospedali, senza servizi. Che teme l'estinzione, dove vanno via in tanti; e chi resta è vecchio, invalido, ottuso o eroico, abbarbicato alle sue abitudini o fedele a oltranza.
Ma come in tutte le cose i bilanci si fanno sempre con due voci: costi e benefici, entrate e uscite. Certo, è vero, a Guardia Sanframondi manca il cinema, manca il teatro, manca la discoteca, ma manca pure l'ossido di carbonio. Mancano le scuole, e oggi manca pure l'ospedale sotto casa, ma se si guasta qualcosa, se resti fuori casa, se ti senti male, se devi lasciare un vecchio o un bambino, hai sempre qualcuno pronto a darti una mano. Certo, il tempo a Guardia Sanframondi scorre troppo lento e ci si ammazza dalla noia, ma non c'è l'ansia da ritardo e la frenesia del traffico e della velocità. Ma per andare in campagna o sederti sotto un albero basta che ti allunghi a piedi, ce l'hai quasi dietro casa. Hai a disposizione più natura. A differenza dei grandi centri conosci più persone dei metropolitani: ti fermi a parlare con cento persone e ne saluti mille, nella città, quando ti va bene, ti fermi a parlare con una persona e ne saluti due. Vedi meno folle ma incontri più persone. E ogni rapporto è personale. Di loro sai vita, morte e miracoli. Si fa comunella.
Ecco cosa ciascun giornalista della carta stampata, dei media, studioso, sociologo, psicologo, esperto dovrà sforzarsi di mettere nero su bianco nei propri articoli, nelle interviste, nelle pagine dei propri giornali quando scriverà e parlerà della comunità di Guardia Sanframondi e dei suoi Riti. So che è difficile, complicato, ma prima di scrivere dovrà sforzarsi di capire la forza delle convinzione, la costanza e l'attaccamento al proprio territorio, ad una fede, di un intero popolo. Un popolo che con caparbietà ha saputo portare avanti nel tempo una propria idea della fede che potrà essere anche non condivisa, ma mai, si badi, contestata o peggio ancora ridicolizzata, perché rientra nel patrimonio di libertà dell'uomo come individuo e, come tale, è sacra e inviolabile. Perché il cuore di ogni guardiese autentico, di ogni "Penitente", comincia all'interno della propria comunità e finisce oltre la soglia del Santuario: l'arteria della Vergine Assunta. Perché i Riti che ogni sette anni si celebrano in suo onore sono l'espressione e la celebrazione dell'integrazione sociale, dello spirito comunitario della comunità guardiese. È un momento in cui l'intera comunità esprime la propria unità, intesa come profondo senso di appartenenza. Perché i Riti settennali di penitenza in onore dell'Assunta esistono solo in quanto momento partecipativo; non avrebbero alcuna ragion d'essere se non prevedesse questa unità. Essi sono un meccanismo all'apparenza complesso che potrebbe essere definito totalitario, inclusivo ed esclusivo allo stesso tempo; inclusivo, perché chi vi partecipa entra in una dimensione propria, definita da un tempo e uno spazio al di là del quotidiano; esclusivo, perché solo i guardiesi, solo quelli che ai Riti prendono parte riescono a comprendere le dinamiche comportamentali, i tempi e gli spazi ad essa propri. Cosa che, è bene rimarcarlo, nessun giornalista della carta stampata, dei media, studioso, sociologo, psicologo, esperto potrà mai riuscire a comprendere.

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