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Giancarlo Sepe porta in scena 'Morso di luna nuova' di Erri De Luca

Napoli - Sarà il Teatro Nuovo di Napoli ad ospitare, venerdì 5 febbraio 2010 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 14) il debutto partenopeo di Morso di luna Nuova, presentato dalla compagnia Gli Ipocriti.Tratto dall'omonimo racconto per voci...

Sarà il Teatro Nuovo di Napoli ad ospitare, venerdì 5 febbraio 2010 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 14) il debutto partenopeo di Morso di luna Nuova, presentato dalla compagnia Gli Ipocriti.
Tratto dall'omonimo racconto per voci in tre stanze scritto da Erri De Luca, lo spettacolo affronta il periodo tragico vissuto dai napoletani durante la seconda guerra mondiale, quando la città era assediata dalle truppe tedesche.
In scena Giovanni Esposito, Antonio Marfella, Luna Romani, Antonella Romano, Giampiero Schiano, Antonio Spadaro, Simone Spirito, Pino Tufillaro danno vita ad un micromondo capace di suscitare intense emozioni, guidati dalla regia di Giancarlo Sepe. Le scene e costumi sono a cura di Bruno Buonincontri, le musiche di Harmonia Team con la collaborazione di Davide Mastrogiovanni, il disegno luci di Rocco Giordano.
In un rifugio antiaereo, scosso dalle bombe sempre più vicine, un piccolo gruppo di napoletani consuma la sua esistenza. Sono un vecchio generale fascista a riposo, un giovane romantico, un ingenuo balbuziente, un disincantato falegname e un pescivendolo che cova in sé il segreto d'essere ebreo. C'è la famiglia del portiere, ingiustamente accusato di borsa nera quando, in realtà, già tesseva trame di rivolta.
Ecco il tema di questa storia: la rivolta, le famose Quattro Giornate che liberarono la città dall'oppressione tedesca. Quei disperati del popolino, rassegnati e sognatori, cominciano a coltivare la propria dignità, il proprio riscatto. Come per contagio, lentamente, si diffonde la voglia di riscatto. La rassegnazione lascia il posto alla rivendicazione.
Scandito in quadri che segnano il passare dei mesi, tra sogni e ansie di fuga, tra ricordi e fame implacabile, il gruppo arriverà compatto alle giornate del riscatto.
Il testo tesse, con un occhio alla storia e uno all'oggi, la trama di un coro popolare, fatto di suoni antichi e battute sagaci. Riesce a ricreare, in un gioco tutto metateatrale, un lungo e divertente siparietto da avanspettacolo, affidato alla "coppia comica" del gruppo. Per sollevare gli animi afflitti e senza speranza dei rifugiati non c'è niente di meglio che rispolverare il vecchio teatro, giocando con le parole e con la retorica delle canzoni patriottiche.
La lingua utilizzata da Erri De Luca, non per scelta stilistica ma in quanto "lingua madre", consente di cambiare continuamente registro narrativo; addirittura all'inizio della terza stanza due dei personaggi, per alleggerire l'atmosfera di quel tugurio bellico, inscenano una farsa che ricorda i canovacci di Petito e Scarpetta. Nel parossismo dei bombardamenti, quelle persone, costrette dagli eventi a ritrovarsi, per giorni e giorni, nello stesso ricovero, tirano fuori la loro estrema napoletanità e la loro fiera umanità che rende il racconto un piccolo capolavoro drammaturgico dell'autore.

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