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Cronaca Santa Maria Capua Vetere

Il garante vuole Draghi tra i testimoni al processo sulle torture in carcere

La richiesta in aula del legale Passione: citati anche Cartabia e Bonafede. No dalla procura e difensori imputati

Compaiono anche l'ex premier Mario Draghi ed i ministri della giustizia Marta Cartabia ed Alfonso Bonafede tra i testimoni citati dal garante dei detenuti Mauro Palma nel processo per le torture avvenute al carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile del 2020 a carico di 105 persone, tra agenti della penitenziaria, funzionari del Dap e due medici. 

E' stata questa la richiesta formulata dal legale del garante, l'avvocato Michele Passione, nel corso dell'udienza celebrata all'aula bunker di Santa Maria Capua Vetere. Draghi e Cartabia pochi giorni dopo gli arresti si recarono al carcere per scursarsi. "Siamo qui ad affrontare le conseguenze delle nostre sconfitte", aveva esordito il premier durante il suo discorso nel piazzale del carcere casertano. Parole a cui seguirono azioni con la commissione nominata dalla ministra Cartabia per l'innovazione del sistema penitenziario. Azioni, quelle del governo, che ora potrebbero essere spiegate in aula. Questo il motivo della citazione dei politici. Nella lista dei testi del garante figurano, inoltre, il funzionario del Dap Tartaglia ed il giornalista Nello Trocchia. 

Una richiesta sulla quale c'è stata opposizione sia da parte delle difese degli imputati, per "evitare la spettacolarizzazione del processo" ma anche per "l'irrilevanza della loro testimonianza", sia dello stesso pubblico ministero Alessandro Milita che non vuole appesantire ulteriormente un dibattimento che si preannuncia già lungo di per sé (la sola procura ha indicato nella sua lista testi 238 persone a cui si dovranno aggiungere quelli delle 126 parti civili e delle difese degli imputati).

Sulla richiesta, comunque, dovranno decidere i giudici della corte d'assise di Santa Maria Capua Vetere, presieduta da Roberto Donatiello, che dovranno anche valutare la questione di illegittimità costituzionale del decreto di citazione in giudizio - formulata dagli avvocati Giuseppe Stellato, Eduardo Razzino, Claudio Botti e Coppola - per l'incompletezza degli atti d'indagine depositati dalla Procura. Si torna in aula a inizio febbraio.

Agli indagati (105 persone tra agenti, funzionari dell'amministrazione penitenziaria e medici) sono stati contestati, a seconda delle loro rispettive posizioni e partecipazioni alla rappresaglia in carcere, i delitti di tortura pluriaggravati ai danni di numerosi detenuti, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, abuso di autorità contro detenuti, perquisizioni personali arbitrarie, falso in atto pubblico (anche per induzione) aggravato, calunnia, frode processuale, depistaggio, favoreggiamento personale, rivelazioni indebite di segreti d’ufficio, omessa denuncia e cooperazione nell’omicidio colposo ai danni del detenuto Hakimi Lamine, deceduto in carcere il 4 maggio 2020. Era il 5 aprile del 2020 quando, dopo il primo caso di Covid all’interno del penitenziario, esplose una protesta dei detenuti del reparto Nilo che si barricarono in reparto rifiutandosi di rientrare in cella. La risposta fu una repressione in stile Guantanamo. A Santa Maria Capua Vetere bisognava ripristinare l’ordine e farlo adottando “il sistema Poggioreale”. Le intenzioni degli agenti – mascherate da una perquisizione straordinaria – emergono con chiarezza dalle chat, finite nel fascicolo della Procura. “Li abbattiamo come i vitelli”, dice qualcuno.

Il 6 aprile del 2020, circa 200 agenti – molti dei quali ancora non identificati - fecero irruzione nel reparto Nilo. I detenuti vennero fatti uscire dalle celle. Poi vennero pestati con i manganelli ed umiliati: molti vennero fatti inginocchiare in una sala dedicata alla socialità con gli agenti che di tanto in tanto li percuotevano. A qualcuno vennero tagliati i capelli e la barba. Scene da macelleria messicana riprese dalle telecamere della videosorveglianza installata in reparto che ripresero anche il pestaggio di un detenuto in carrozzina (di recente deceduto dopo la scarcerazione). Dopo la mattanza vennero individuati una quindicina di detenuti quali promotori della protesta del giorno prima. Vennero messi in isolamento per giorni, ingiustamente. Tra loro c’era Hakimi Lamine, poi morto. Per la Procura c'è una connessione tra quel decesso ed i maltrattamenti su un soggetto psicologicamente fragile. Lamine sarebbe morto per la presunta assunzione di una pesante dose di oppiacei.

Tra gli avvocati che difendono i detenuti vittime delle aggressioni ci sono: Carmine D'Onofrio (tra i primi a depositare una denuncia per uno dei detenuti facendo avviare l'indagine), Luca Viggiano, Goffredo Grasso, Elvira Rispoli, Fabio Della Corte, Giuseppe De Lucia, Gennaro Caracciolo, Ferdinando Letizia, Marco Argirò, Pasquale Delisati, Andrea Balletta e Giovanni Plomitallo. A rappresentare l'Asl di Caserta, invece, l'avvocato Marco Alois mentre l'avvocatura dello Stato si è costituita per il Ministero della Giustizia.  Asl e Ministero della Giustizia sono stati citati anche in qualità di responsabili civili. 

Tra i difensori degli imputati sono impegnati - tra gli altri - gli avvocati Giuseppe Stellato, Mariano Omarto, Vittorio Giaquinto, Carlo De Stavola, Raffaele Costanzo, Angelo Raucci, Roberto Barbato, Dezio Ferraro, Elisabetta Carfora, Domenico Di Stasio, Valerio Stravino, Gerardo Marrocco, Massimo Trigari, Luca Di Caprio, Mario Corsiero, Rossana Ferraro, Ernesto De Angelis, Claudio Botti, Vitale Stefanelli, Michele Spina, Fabrizio Giordano, Raffaele Russo, Valerio Alfonso Stravino, Antonio Leone, Domenico Pigrini, Ciro Balbo, Dario Mancino, Natalina Mastellone, Gabriele Piatto, Massimiliano Di Fuccia, Carlo De Benedictis, Rosario Avenia, Domenico Scarpone, Eduardo Razzino e Nicola Russo. 

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