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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca Santa Maria Capua Vetere

Al via il maxi processo per le torture in carcere: altri 26 detenuti pronti a costituirsi contro gli agenti

Prima udienza all'Aula Bunker di Santa Maria Capua Vetere. Difese provano a sdoppiare il processo e tuonano: "Decreto citazione in giudizio da dichiarare nullo"

Centocinque imputati, 99 parti civili già costituite (a cui potrebbero aggiungersene altre 27), 3 pubblici ministeri (l'aggiunto Alessandro Milita con i pm Alessandra Pinto e Daniela Pannone) ed oltre 300 avvocati impegnati. Sono questi i numeri del maxi processo, iniziato oggi all'aula bunker del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, a carico di 105 imputati - tra agenti, funzionari dell'amministrazione penitenziaria e medici - coinvolti nell'inchiesta sulle torture al carcere sammaritano "Francesco Uccella" avvenute il 6 aprile del 2020. 

Difesa prova a sdoppiare il processo

Dopo il lungo appello (durato oltre due ore) e l'istanza di costituzione in giudizio di altre 27 parti civili (26 detenuti e l'associazione "ItaliaStatoDiDiritto") il processo si è aperto con le questioni preliminari da parte dei difensori. L'avvocato Elisabetta Carfora ha chiesto lo 'sdoppiamento' del processo. Per la legale - difensore di diversi imputati - sarebbero di competenza della Corte d'Assise esclusivamente le posizioni dei 22 imputati a cui è contestato il reato di torture con morte, quella di Hakimi Lamine spirato all'inizio di maggio del 2020, e reati connessi, con le posizioni quindi degli altri 83 imputati che - ad avviso dell'avvocato - dovrebbero invece essere rinviate dinanzi al collegio di Santa Maria Capua Vetere. 

"Processo non va celebrato: violato il diritto alla difesa"

L'avvocato Giuseppe Stellato, invece, tra le eccezioni preliminari ha chiesto alla Corte, presieduta dal giudice Roberto Donatiello, di dichiarare la nullità del decreto di citazione in giudizio. "Questo processo non si può celebrare", ha esordito Stellato nel corso del suo intervento, per la "violazione del diritto alla difesa" che avrebbe avuto difficoltà ad accedere al materiale probatorio - con particolare riferimento alla copiosa messaggistica - oltre ad evidenziare l'incompletezza delle immagini video (circa 4 ore) in cui non ci sarebbe l'antefatto, cioè quanto accaduto in precedenza agli episodi di maltrattamento sui detenuti. 

"Associazioni, Garanti e Ministero Giustizia vanno esclusi"

Lo stesso avvocato Stellato, inoltre, ha richiesto ai giudici di escludere le associazioni già costituite (almeno 4) e dichiarare l'inammissibilità di quella che stamattina ha presentato richiesta di costituzione in giudizio. "Vengono sovrapposti i soggetti lesi da un reato con organismi che tutelano interessi diffusi senza, tra l'altro, l'autorizzazione dei soggetti lesi", ha sottolineato il legale in aula. Stessa richiesta è stata presentata anche per il Ministero della Giustizia, costituito nella doppia veste di parte civile e di responsabile civile: "E' una posizione ambigua", ha sottolineato ancora Stellato.

Richiesta di esclusione anche per quanto riguarda i garanti dei detenuti, nazionale e regionale. "Il garante non è un ente ma un soggetto che ha una posizione di controllo - ha ribadito il legale - Inoltre c'è una duplicazione della medesima funzione", con la costituzione dei garanti nazionale e regionale che sarebbero "due articolazioni dello stesso ruolo". Eccezioni sulle quali il giudice Donatiello si è riservato annunciando lo scioglimento della riserva all'udienza fissata per il prossimo 14 dicembre. 

Le accuse

Agli indagati sono stati contestati, a seconda delle loro rispettive posizioni e partecipazioni alla rappresaglia in carcere, i delitti di tortura pluriaggravati ai danni di numerosi detenuti, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, abuso di autorità contro detenuti, perquisizioni personali arbitrarie, falso in atto pubblico (anche per induzione) aggravato, calunnia, frode processuale, depistaggio, favoreggiamento personale, rivelazioni indebite di segreti d’ufficio, omessa denuncia e cooperazione nell’omicidio colposo ai danni del detenuto Hakimi Lamine, deceduto in carcere il 4 maggio 2020. Era il 5 aprile del 2020 quando, dopo il primo caso di Covid all’interno del penitenziario, esplose una protesta dei detenuti del reparto Nilo che si barricarono in reparto rifiutandosi di rientrare in cella. La risposta fu una repressione in stile Guantanamo. A Santa Maria Capua Vetere bisognava ripristinare l’ordine e farlo adottando “il sistema Poggioreale”. Le intenzioni degli agenti – mascherate da una perquisizione straordinaria – emergono con chiarezza dalle chat, finite nel fascicolo della Procura. “Li abbattiamo come i vitelli”, dice qualcuno.

Il 6 aprile del 2020, circa 200 agenti – molti dei quali ancora non identificati - fecero irruzione nel reparto Nilo. I detenuti vennero fatti uscire dalle celle. Poi vennero pestati con i manganelli ed umiliati: molti vennero fatti inginocchiare in una sala dedicata alla socialità con gli agenti che di tanto in tanto li percuotevano. A qualcuno vennero tagliati i capelli e la barba. Scene da macelleria messicana riprese dalle telecamere della videosorveglianza installata in reparto che ripresero anche il pestaggio di un detenuto in carrozzina (di recente deceduto dopo la scarcerazione). Dopo la mattanza vennero individuati una quindicina di detenuti quali promotori della protesta del giorno prima. Vennero messi in isolamento per giorni, ingiustamente. Tra loro c’era Hakimi Lamine, poi morto. Per la Procura c'è una connessione tra quel decesso ed i maltrattamenti su un soggetto psicologicamente fragile. Lamine sarebbe morto per la presunta assunzione di una pesante dose di oppiacei.

Tra i difensori degli imputati sono impegnati - tra gli altri - gli avvocati Giuseppe Stellato, Mariano Omarto, Vittorio Giaquinto, Carlo De Stavola, Raffaele Costanzo, Angelo Raucci, Roberto Barbato, Dezio Ferraro, Elisabetta Carfora, Domenico Di Stasio, Valerio Stravino, Eduardo Razzino, Mirella Baldascino, Massimo Trigari, Luca Di Caprio, Mario Corsiero, Rossana Ferraro, Ernesto De Angelis, Claudio Botti, Vitale Stefanelli, Michele Spina, Fabrizio Giordano, Raffaele Russo, Valerio Alfonso Stravino, Antonio Leone, Domenico Pigrini, Ciro Balbo, Dario Mancino, Natalina Mastellone, Gabriele Piatto, Massimiliano Di Fuccia, Carlo De Benedictis, Rosario Avenia, Domenico Scarpone, Anna Maria Miranda e Nicola Russo. 

Tra gli avvocati che difendono i detenuti vittime delle aggressioni ci sono: Carmine D'Onofrio (tra i primi a depositare una denuncia per uno dei detenuti facendo avviare l'indagine), Luca Viggiano, Goffredo Grasso, Elvira Rispoli, Fabio Della Corte, Giuseppe De Lucia, Gennaro Caracciolo, Ferdinando Letizia, Marco Argirò, Pasquale Delisati, Andrea Balletta e Giovanni Plomitallo. A rappresentare l'Asl di Caserta, invece, l'avvocato Marco Alois (mentre Stefano Montone rappresenta l'Asl come responsabile civile), l'avvocatura dello Stato si è costituita per il Ministero della Giustizia (nella contestata doppia veste). 

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