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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Santa Maria Capua Vetere

Torture in carcere: ammesse 126 parti civili nel maxi processo agli agenti

I giudici confermano la costituzione in giudizio di 117 reclusi, 5 associazioni, dei garanti nazionale e regionale. Asl e Ministero in doppia veste. Atti depositati in ritardo fuori dal processo

Sono 126 le parti civili ammesse nel maxi processo per le torture avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile del 2020 per cui sono imputate 105 persone tra agenti, funzionari dell'amministrazione penitenziaria e medici . 

La Corte d'Assise presieduta dal giudice Roberto Donatiello ha sciolto la riserva ed accolto la costituzione in giudizio delle vittime o di associazioni che sono portatrici di interessi collettivi, in particolare quelli delle persone detenute. I giudici hanno ammesso, dunque, la costituzione di parte civile di 117 detenuti o loro eredi, come nel caso di Hakimi Lamine - morto appena un mese dopo i pestaggi in carcere per un'overdose di farmaci assunta "in rapida successione e senza controllo sanitario” - e di Vincenzo Cacace, il detenuto in carrozzina preso a manganellate e deceduto a casa nel giugno di quest'anno. Ammessa la costituzione anche delle associazioni Antigone, Italia Stato di Diritto, il Carcere possibile onlus, Yairaiha e Contro gli abusi in Divisa. 

Ammessa anche la costituzione dei garanti dei detenuti sia nazionale che regionale in quanto ritenuti dai giudici "autonomi" l'uno rispetto all'altro. Ammessa anche la doppia veste in giudizio del Ministero della Difesa che come l'Asl è sia parte civile sia responsabile civile per le azioni dei propri dipendenti nei confronti delle persone offese che avrebbero provocato un danno d'immagine nei confronti dell'Istituzione. Una decisione, quella dei giudici di Santa Maria Capua Vetere, che va nella stessa direzione di quella di altri casi, come ad esempio quello relativo alla morte di Stefano Cucchi con il ministero della Difesa che ha assunto un doppio ruolo processuale. I giudici hanno, infine, respinto la richiesta di costituzione in giudizio di altri quattro detenuti - presentata nel corso dell'udienza di oggi - in quanto dichiarata "tardiva". 

Sulle eccezioni sollevate dai difensori - in particolare degli avvocati Elisabetta Carfora, Giuseppe Stellato ed Eduardo Razzino - la Corte ha ribadito la propria competenza sul processo in quanto i diversi reati contestati - tra cui quello più grave di tortura di competenza dell'Assise - sono connessi tra loro da un unico disegno criminoso di fondo e cioè "riconducibili ad un'originaria determinazione punitiva animata dall'intento di recuperare il controllo del carcere ed appagare le presunte aspettative del personale di polizia penitenziaria a seguito alle proteste avvenute soprattutto al reparto Nilo all'interno della casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere", si legge nell'ordinanza dei giudici.

Diversa, invece, la questione sulla nullità del decreto che dispone il giudizio sollevata dagli avvocati Stellato, Razzino, Claudio Botti e Sabina Coppola. I giudici dell'Assise hanno decretato l'inutilizzabilità degli atti d'indagine non depositati o depositati tardivamente da parte della Procura (già utilizzati però in udienza preliminare) evidenziando, però, l'ammissibilità per quanto riguarda il materiale estrapolato dai telefoni degli imputati, il cui formato non le avrebbe rese disponibili alle difese. Stessa doglianza è stata rilevata sulla disponibilità dei brogliacci: questione superata dai giudici. Si torna in aula dopo Natale. 

Agli indagati sono stati contestati, a seconda delle loro rispettive posizioni e partecipazioni alla rappresaglia in carcere, i delitti di tortura pluriaggravati ai danni di numerosi detenuti, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, abuso di autorità contro detenuti, perquisizioni personali arbitrarie, falso in atto pubblico (anche per induzione) aggravato, calunnia, frode processuale, depistaggio, favoreggiamento personale, rivelazioni indebite di segreti d’ufficio, omessa denuncia e cooperazione nell’omicidio colposo ai danni del detenuto Hakimi Lamine, deceduto in carcere il 4 maggio 2020. Era il 5 aprile del 2020 quando, dopo il primo caso di Covid all’interno del penitenziario, esplose una protesta dei detenuti del reparto Nilo che si barricarono in reparto rifiutandosi di rientrare in cella. La risposta fu una repressione in stile Guantanamo. A Santa Maria Capua Vetere bisognava ripristinare l’ordine e farlo adottando “il sistema Poggioreale”. Le intenzioni degli agenti – mascherate da una perquisizione straordinaria – emergono con chiarezza dalle chat, finite nel fascicolo della Procura. “Li abbattiamo come i vitelli”, dice qualcuno.

Il 6 aprile del 2020, circa 200 agenti – molti dei quali ancora non identificati - fecero irruzione nel reparto Nilo. I detenuti vennero fatti uscire dalle celle. Poi vennero pestati con i manganelli ed umiliati: molti vennero fatti inginocchiare in una sala dedicata alla socialità con gli agenti che di tanto in tanto li percuotevano. A qualcuno vennero tagliati i capelli e la barba. Scene da macelleria messicana riprese dalle telecamere della videosorveglianza installata in reparto che ripresero anche il pestaggio di un detenuto in carrozzina (di recente deceduto dopo la scarcerazione). Dopo la mattanza vennero individuati una quindicina di detenuti quali promotori della protesta del giorno prima. Vennero messi in isolamento per giorni, ingiustamente. Tra loro c’era Hakimi Lamine, poi morto. Per la Procura c'è una connessione tra quel decesso ed i maltrattamenti su un soggetto psicologicamente fragile. Lamine sarebbe morto per la presunta assunzione di una pesante dose di oppiacei.

Tra i difensori degli imputati sono impegnati - tra gli altri - gli avvocati Giuseppe Stellato, Raffaele Costanzo, Mariano Omarto, Vittorio Giaquinto, Carlo De Stavola, Angelo Raucci, Roberto Barbato, Dezio Ferraro, Elisabetta Carfora, Domenico Di Stasio, Valerio Stravino, Eduardo Razzino, Massimo Trigari, Luca Di Caprio, Mario Corsiero, Rossana Ferraro, Ernesto De Angelis, Claudio Botti, Vitale Stefanelli, Michele Spina, Fabrizio Giordano, Raffaele Russo, Valerio Alfonso Stravino, Antonio Leone, Domenico Pigrini, Ciro Balbo, Dario Mancino, Natalina Mastellone, Gabriele Piatto, Massimiliano Di Fuccia, Carlo De Benedictis, Rosario Avenia, Domenico Scarpone, Anna Maria Miranda e Nicola Russo. 

Tra gli avvocati che difendono i detenuti vittime delle aggressioni ci sono: Carmine D'Onofrio (tra i primi a depositare una denuncia per uno dei detenuti facendo avviare l'indagine), Luca Viggiano, Goffredo Grasso, Mirella Baldascino, Elvira Rispoli, Fabio Della Corte, Giuseppe De Lucia, Gennaro Caracciolo, Massimo D'Errico, Giuseppe Nespoli Ferdinando Letizia, Marco Argirò, Pasquale Delisati, Andrea Balletta e Giovanni Plomitallo. A rappresentare l'Asl di Caserta, invece, l'avvocato Marco Alois (mentre Stefano Montone rappresenta l'Asl come responsabile civile), l'avvocatura dello Stato si è costituita per il Ministero della Giustizia. 

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