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Cronaca Santa Maria Capua Vetere

Torture in carcere, il giallo delle telecamere staccate nel giorno della mattanza

La testimonianza del comandante Macrì al processo: "Viste le difficoltà abbiamo sequestrato l'impianto". I sindacati annunciano reintegro agenti sospesi

Un cavo staccato dall'impianto di videosorveglianza per depistare le indagini sulle violenze avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020. Ne ha parlato il primo testimone del processo l'allora Comandante della Compagnia dei Carabinieri di Santa Maria Capua Vetere Emanuele Macrì, attualmente al comando della Compagnia di Cagliari, che ha indagato le primissime fasi dell'indagine, partita dalle note del garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello, del Commissariato della Polizia di Stato di Santa Maria Capua Vetere e del magistrato di sorveglianza Marco Puglia, che per primo si recò in carcere dopo i fatti.

Il dibattimento - in cui sono imputate 105 persone - si sta svolgendo davanti alla Corte di Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere - presidente Roberto Donatiello, Honoré Dessi a latere - nell'aula bunker facente parte del complesso del carcere delle violenze.

Secondo quanto riferito da Macrì, a far scattare l'indagine sarebbero state le rivelazioni fatte dal garante regionale per i detenuti Samuele Ciambriello che aveva ricevuto dai familiari dei detenuti pestati dei file audio inviati dagli stessi reclusi ai propri congiunti, e relativi alle violenze subite. Messaggi tipo "ci hanno ucciso di mazzate" ricorda Macrì, che poi racconta delle difficoltà incontrate per sequestrare le immagini di videosorveglianza interne al carcere, che avevano registrato le violenze rivelandosi poi determinanti per l'attribuzione delle responsabilità ai singoli agenti.

Una "difficoltà" che conferma l'ipotesi della Procura, che ha contestato il depistaggio proprio in relazione al presunto tentativo dell'allora capo del Dap in Campania Antonio Fullone, e degli ufficiali della penitenziaria intervenuti nel carcere casertano, di "cancellare" le prove dei pestaggi, cristallizzati nelle immagini delle telecamere interne. "Il 10 aprile 2020 - riferisce Macrì - dopo aver ricevuto la delega dalla Procura ad indagare su quanto avvenuto il 6 aprile, inviai i miei collaboratori al carcere per le immagini delle telecamere, e fu detto loro che il sistema di videosorveglianza interno, in particolare del reparto Nilo dove erano avvenute le violenze, non funzionava; il giorno dopo, l'11 aprile, i miei uomini tornarono nel carcere, e furono consegnate loro delle note inviate dal carcere alla società che faceva la manutenzione delle telecamere, in cui si evidenziava il malfunzionamento degli impianti. Parlammo e sentimmo immediatamente a sommarie informazioni un ingegnere della società che si occupava per conto del ministero delle telecamere di videosorveglianza, che ci disse che dalle prime verifiche fatte da remoto, non risultavano alcune anomalie nel sistema di videosorveglianza del carcere. I miei uomini andarono così in carcere e accertarono che al primo piano del reparto Nilo le telecamere funzionavano, al secondo era staccato un cavo, ma una volta riattaccato gli impianti avevano ripreso a funzionare, mentre al terzo e quarto piano tutto era regolare. Il 14 aprile decidemmo, viste le difficoltà nel ricevere le immagini interne, di sequestrare l'intero impianto di videosorveglianza del carcere".

Macrì ha poi sottolineato "di non aver avuto alcuna contezza di quanto accaduto il 6 aprile almeno fino al giorno 9 aprile, quando i familiari dei detenuti picchiati fecero una manifestazione fuori al carcere di Santa Maria Capua per protestare proprio contro le violenze di cui i reclusi erano rimasti vittime". 

Si torna in aula il prossimo fra una settimana. Tra gli avvocati che difendono i detenuti vittime delle aggressioni ci sono: Carmine D'Onofrio (tra i primi a depositare una denuncia per uno dei detenuti facendo avviare l'indagine), Mirella Baldascino, Luca Viggiano, Goffredo Grasso, Elvira Rispoli, Fabio Della Corte, Giuseppe De Lucia, Gennaro Caracciolo, Ferdinando Letizia, Marco Argirò, Pasquale Delisati, Andrea Balletta e Giovanni Plomitallo. A rappresentare l'Asl di Caserta, invece, l'avvocato Marco Alois mentre l'avvocatura dello Stato si è costituita per il Ministero della Giustizia.  Asl e Ministero della Giustizia sono stati citati anche in qualità di responsabili civili. Tra i difensori degli imputati sono impegnati - tra gli altri - gli avvocati Giuseppe Stellato, Mariano Omarto, Vittorio Giaquinto, Carlo De Stavola, Raffaele Costanzo, Angelo Raucci, Roberto Barbato, Dezio Ferraro, Elisabetta Carfora, Domenico Di Stasio, Valerio Stravino, Massimo Trigari, Luca Di Caprio, Mario Corsiero, Rossana Ferraro, Ernesto De Angelis, Claudio Botti, Vitale Stefanelli, Michele Spina, Fabrizio Giordano, Raffaele Russo, Valerio Alfonso Stravino, Antonio Leone, Domenico Pigrini, Ciro Balbo, Dario Mancino, Natalina Mastellone, Gabriele Piatto, Carlo De Benedictis, Rosario Avenia, Domenico Scarpone, Eduardo Razzino e Nicola Russo. 

Intanto nella serata di martedì, a poche ore dall'udienza, la Cgil Fp ha reso noto di aver appreso da fonti ministeriali la prossima riammissione per un gruppo di agenti ancora sospesi. "il tutto dopo una rivalutazione degli atti dei singoli che ha posto l’Amministrazione Penitenziaria nelle condizioni di valutarne positivamente l’inserimento nei ruoli del Corpo di Polizia Penitenziaria a far data dal 15 marzo c.m., gli stessi saranno riassegnati in sedi limitrofe alla sede di servizio per garantirne a gli stessi ulteriori coinvolgimenti in attesa dalla risoluzione che, auspichiamo possa essere positiva, da parte della Magistratura inquirente".

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