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Cronaca Santa Maria Capua Vetere

Torture in carcere, la Procura: "Per detenuti fu vero Golgota penitenziario"

La ricostruzione dei pm nel processo sulla mattanza. La lettera di un recluso: "Hanno cancellato la speranza"

La saletta polivalente del carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove i detenuti vennero fatti inginocchiare e massacrati di botte durante l'orribile mattanza del 6 aprile 2020, venne trasformata in un "vero e proprio golgota penitenziario". 

Sono queste le parole utilizzate dai pubblici ministeri nel corso della loro requisitoria nei confronti di Angelo Di Costanzo e Vittorio Vinciguerra, gli unici due agenti coinvolti nell'inchiesta sulle torture che hanno scelto il rito abbreviato. E tra i passaggi più sentiti della requisitoria dei pubblici ministeri c'è quello relativo al pestaggio di un detenuto di origini marocchine, lo stesso che il gip - nella sua ordinanza di custodia cautelare - aveva preso come "caso emblematico dell'orrenda mattanza".

Immagini strazianti, riprese dalle telecamere interne al carcere di Santa Maria Capua Vetere, che la Procura ha ripercorso nella sua ricostruzione. Il detenuto - si vede - è in ginocchio da solo mentre cerca di proteggersi dalle percosse inflitte da almeno 6 agenti e viene colpito da una manganellata alle nocche delle dita "all'evidente fine di procurargli la massima sofferenza possibile".

Il recluso in questione era giunto a marzo 2020 a Santa Maria Capua Vetere dal carcere di Velletri in seguito ad una rivolta. Giunto alla casa circondariale "Francesco Uccella" sarebbe stato accolto da calci e pugni. Violenze - avvenute un mese prima della mattanza del 6 aprile - a cui avrebbe partecipato anche l'imputato Vinciguerra insieme ad altri agenti. Poi il detenuto venne trasferito proprio al reparto Nilo, teatro della rappresaglia sfociata nel procedimento penale. E qui il 6 aprile finì tra i detenuti "in balia delle sevizie e dei soprusi gratuitamente posti in essere dagli agenti". Un vero e proprio "golgota penitenziario", lo definisce la Procura, che ha avuto ripercussioni anche sulla tenuta psichica del detenuto.

In una lettera inviata nel mese di ottobre del 2020, sei mesi dopo la mattanza quando era stato già trasferito al carcere di Ariano Irpino, il detenuto esprime il terrore vissuto in quei tragici momenti: “…mi avete visto camminare in ginocchio ma ora cammino in piedi… Per liberarmi di ciò che mi hanno fatto occorrerà molto tempo. Non soffro più il dolore fisico, ma ho subito una cancellazione quasi totale della speranza. Il buio del tunnel mi è apparso molto più buio…continuo a vivere tutto quello che ho vissuto come un flashback. Rivivo tutto ogni giorno. Lo so che una specie di sopraffazione crudele. Una forma di tortura mentale”.

Un terrore che è stato raccontato anche ad un medico del carcere al quale avrebbe confessato propositi suicidi. "Oggi finisco la quarantena e ho paura che mi fanno qualcosa. L’ho già detto alla dottoressa in Procura, ho le lamette nascoste, se mi toccano ancora avranno un cadavere da qualche parte. Hanno offeso il mio corpo e la mia anima, non reggo più. Ho iniziato a parlare da solo. Il prossimo che mi tocca mi ammazzo", gli avrebbe riferito. 

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