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Cronaca

Operazione 'Scarface', scoperta la "banda del Lotto": sequestri anche nel casertano

Sotto chiave beni per 25 milioni di euro. Indagati un carabiniere ed un poliziotto

Un sistema studiato ad hoc per riciclare milioni di euro. E’ quello che hanno scoperto i carabinieri di Brescia che oggi hanno portato termine la prima parte dell’operazione ‘Scarface’. Quattordici le persone arrestate, con un poliziotto ed un carabiniere che sono stati sospesi dal servizio. L’inchiesta è arrivata anche in provincia di Caserta, dove sono stati fatti investimenti coi soldi riciclati (39 fabbricati e 14 terreni); sono stati posti sotto sequestro anche tre ville di lusso, di cui una in Costa Smeralda, una in località Poggi di Imperia e una a Erbusco; 4 appartamenti situati a Bardonecchia, Imperia e Rovato; due negozi nel bresciano; sei società (di cui cinque televisive e un per servizi finalizzati alla gestione di tabacchi/ricevitorie);  due licenze commerciali di tabaccheria/ricevitoria, quattro veicoli (tra cui cui una Porsche Macan, una Mercedes GLA, una Mini Cooper e uno scooter Bmw C650 Sport); 36 conti correnti in Italia per un ammontare di 1,5 milioni di euro e 400mila in denaro contante, trovati durante le perquisizioni domiciliari.

Un imprenditore televisivo a capo dell’organizzazione 

L’articolata indagine, avviata nell’agosto del 2017, ha accertato che al vertice dell’organizzazione c’era un imprenditore italiano, pregiudicato e residente nel Bresciano. Attraverso le sue imprese televisive, sia locali che nazionali, fungeva da collettore di ingenti risorse economiche, frutto anche di attività illecite, che provvedeva a riciclare attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, re-immettendole nel tessuto economico legale. Tale sistema, garantendo l’evasione fiscale e la disponibilità di somme contanti sottratte al fisco, favoriva oltre che Mura alcuni esponenti di spicco della ‘ndrina Barbaro–Papalia di Buccinasco (in provincia di Milano). L’imprenditore televisivo non è da considerarsi affiliato alla cosca mafiosa, ma comunque contiguo: per questo gli è stata contestata l’aggravante di agevolare l’attività di tale associazione.

Come funzionava il sistema

In pratica l’imprenditore si avvaleva di una complessa rete di sodali, che lui stesso coordinava, per generare e accantonare denaro contante, difficilmente tracciabile, ricavato principalmente da una serie d’illeciti di natura fiscale, come la contabilizzazione di spese per servizi inesistenti, e sfruttando l'evasione fiscale. Le indagini hanno ampiamente dimostrato come la ragnatela di società costruita dall'imprenditore negli ambienti televisivi fosse caratterizzata da imprese solide e realmente strutturate, attorno alle quali ruotavano però altre società satelliti, create come cartiere per la produzione di fatture “gonfiate” o per operazioni inesistenti. Le imprese realmente esistenti operavano avvalendosi di un apparato logistico e di una pletora di lavoratori, con la quotidiana registrazione e messa in onda sui canali televisivi di trasmissioni per la previsione dei numeri del lotto, ad ognuna delle quali veniva assegnata una numerazione premium, anche detta “a valore aggiunto”. Gli effettivi utili aziendali derivavano quasi esclusivamente dal volume di telefonate ricevute su tali numerazioni e venivano impiegati per effettuare pagamenti verso le società satellite fittizie e intestate a prestanome, per la fornitura di servizi inesistenti o comunque per prestazioni ampiamente sovrastimate.

I soldi delle vincite del Lotto

Attraverso le tabaccherie compiacenti appositamente create era stata creata un’ulteriore tecnica di autoriciclaggio. Le giocate vincenti dei privati cittadini venivano “acquistate” dal gestore della tabaccheria e pagate brevi manu con denaro contante, derivante proprio da quel fondo nero ampiamente e continuamente alimentato con le chiamate ai numeri “a valore aggiunto” dei cittadini alle società televisive per la previsione dei numeri del lotto. Le intercettazioni hanno documentato l’ampio ricorso a questo sistema, largamente diffuso e ben collaudato nei contesti di criminalità organizzata per il riciclaggio di denaro contante di provenienza illecita. Con queste modalità, fra il 1° gennaio 2014 e il mese di marzo 2019, il capo dell’organizzazione è riuscito a dimostrare falsi profitti per circa 500mila euro. 

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