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Cronaca Casal di Principe

Schiavone: "Sindaci e tecnici comunali al nostro servizio"

Il figlio di Sandokan spiega la gestione della cassa e da dove arrivavano i proventi: "Mezzo milione per gli stipendi agli affiliati"

Nicola Schiavone svela il sistema della cassa del clan, come funzionava ed il modo con cui venivano ripartite le spese, tra cui il mezzo milione al mese di stipendi agli affiliati. Il figlio di Sandokan ha testimoniato per la prima volta in videoconferenza collegato al tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel corso del processo Jambo che vede alla sbarra, tra gli altri, gli ex sindaci di Trentola Ducenta Michele Griffo e Nicola Pagano insieme al titolare del centro commerciale Alessandro Falco.

LA CASSA

Il modo di gestire la cassa del clan è cambiato nel corso degli anni ed a fare da spartiacque fu la reggenza di Francesco Schiavone, detto Cicciariello, zio del neo collaboratore di giustizia. "Prima del 2002 il clan era suddiviso in zone - ha detto Schiavone in aula - C'erano i capizona che raccoglievano i soldi sui Comuni e li davano ai responsabili (di un'area più ampia nda) che erano il raccordo tra i comuni e la Cassa Centrale che stava a Casal di Principe che poi smistava nuovamente i soldi per il pagamento degli stipendi". Ed in questo sistema da periferie a centro tutto era trascritto e tracciato, secondo quanto riferito da Schiavone.

Successivamente, siamo nel 2002, si utilizzò un altro sistema per la gestione dei soldi. "Michele Zagaria, Antonio Iovine e Giuseppe Caterino, Peppinotto, versavano 80mila euro a testa nella cassa comune. Il resto lo mettevamo noi degli Schiavone per affrontare le spese correnti" cioè "gli stipendi agli affiliati per un ammontare di 500mila euro". Soldi a cui si aggiungevano le spese straodinarie, quelle per "le armi, le auto, gli avvocati". Ma il nuovo sistema non permetteva un controllo o, meglio, "permetteva di poter rubare dalla cassa".

I PROVENTI

Secondo il racconto di Schiavone reso dinanzi al collegio presieduto dal giudice Roberto Donatiello i proventi del clan erano di due tipi. C'erano le estorsioni e le quote societarie. Le prime riguardavano "quegli appalti vinti regolarmente dagli imprenditori per i quali veniva chiesta una somma di circa il 3% dell'importo dei lavori". Le quote societarie, invece, riguardavano "quegli appalti ottenuti grazie al sostegno del clan per i quali veniva chiesta una somma del 10-12%".

IL CONTROLLO DELLE AMMINISTRAZIONI

E il clan poteva contare su appoggi nelle amministrazioni. Per concetto di gestione delle pubbliche amministrazioni Schiavone è perentorio: "mettevamo bocca e mano nei municipi su tutto". Questo grazie all'appoggio di politici ma anche di tecnici che "davano la possibilità ai nostri delegati di visionare le buste e calcolare la media e fare in modo da farci aggiudicare l'appalto in questione".

IL SISTEMA ELETTORALE

E l'appoggio politico arrivava grazie ad un sistema infallibile per l'elezione dei sindaci e dei consiglieri comunali. "Sceglievamo più di un candidato sindaco sulla base di precisi criteri. Il primo era il sostegno familiare, il secondo quello della fedeltà al clan ed infine dovevano essere omertosi perché non potevano crollare alle prime pressioni". Scelti i cavalli da far correre per la fascia tricolore il clan si muoveva per la composizione delle liste inserendo "avvocati, medici, architetti. Persone che avevano i voti, insomma". A questo bacino elettorale si aggiungeva quello personale dei capi. "A Casal di Principe io muovevo 2mila voti personali". E questo metteva sempre in condizione il clan di far eleggere un proprio uomo e "mettere in minoranza chi non faceva parte del nostro gruppo politico", tra cui Renato Natale "l’unico sindaco che stava contro di noi" a Casal di Principe.

Su Casal di Principe era il gruppo Schiavone a decidere il sindaco: "Nel 2004 me lo sono trovato: era stato scelto da mio zio Cicciariello e da Nicola Cosentino", poi "lo decisi sempre io", ha detto ancora Schiavone. 

Comunque sia nelle competizioni elettorali i candidati sindaco erano tutti espressione del clan dei Casalesi che alle elezioni, di fatto, "non perdeva mai".  

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