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Cronaca Santa Maria Capua Vetere

Torture in carcere, scontro Procura-difesa sulle prove “non consegnate”

La Procura presenta una memoria dopo la richiesta degli avvocati difensori. La decisione dopo l’Epifania

Toccherà aspettare dopo l’Epifania per conoscere la decisione della Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere presieduta dal giudice Roberto Donatiello sulla richiesta di incostituzionalità presentata dagli avvocati difensori degli imputati nel processo sulle torture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Oggi il magistrato della Procura della Repubblica ha respinto tutte le eccezioni dei legali ed ha chiesto ai giudici di andare avanti col dibattimento. La decisione finale sarà ufficializzata il 9 gennaio, quando i giudici scioglieranno la riserva.

L’udienza si è concentrata sulle due istanze di nullità del decreto che dispone il giudizio presentate dagli avvocati di alcuni imputati (tra cui i difensori di imputati di peso come l’ex capo dei poliziotti del carcere Gaetano Manganelli e l’ex provveditore campano Antonio Fullone), in cui si sollevano eccezioni di incostituzionalità per violazione del diritto di difesa per presunte omissioni da parte della Procura circa il mancato o incompleto deposito di atti di indagine (immagini telecamere videosorveglianza interne del carcere, brogliacci messaggistica WhatsApp).

La Procura ha depositato memoria ricognitiva con l’indice degli atti depositati, e il pm Alessandra Pinto ha spiegato che “tutti gli atti di indagine sono sempre stati a disposizione delle parti, che possono acquisirne copia, e che il mancato trasferimento nel fascicolo del Gip e poi del dibattimento di alcuni atti, come i brogliacci dei messaggi o tutte le immagini interne relative al 5 aprile (giorno precedente a quello delle violenze, ndr) non viola l’attuale normativa; in ogni caso tali atti sono custoditi nell’ufficio di Procura e disponibili per le parti”.

Agli indagati (105 persone tra agenti, funzionari dell'amministrazione penitenziaria e medici) sono stati contestati, a seconda delle loro rispettive posizioni e partecipazioni alla rappresaglia in carcere, i delitti di tortura pluriaggravati ai danni di numerosi detenuti, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, abuso di autorità contro detenuti, perquisizioni personali arbitrarie, falso in atto pubblico (anche per induzione) aggravato, calunnia, frode processuale, depistaggio, favoreggiamento personale, rivelazioni indebite di segreti d’ufficio, omessa denuncia e cooperazione nell’omicidio colposo ai danni del detenuto Hakimi Lamine, deceduto in carcere il 4 maggio 2020. Era il 5 aprile del 2020 quando, dopo il primo caso di Covid all’interno del penitenziario, esplose una protesta dei detenuti del reparto Nilo che si barricarono in reparto rifiutandosi di rientrare in cella. La risposta fu una repressione in stile Guantanamo. A Santa Maria Capua Vetere bisognava ripristinare l’ordine e farlo adottando “il sistema Poggioreale”. Le intenzioni degli agenti – mascherate da una perquisizione straordinaria – emergono con chiarezza dalle chat, finite nel fascicolo della Procura. “Li abbattiamo come i vitelli”, dice qualcuno.

Il 6 aprile del 2020, circa 200 agenti – molti dei quali ancora non identificati - fecero irruzione nel reparto Nilo. I detenuti vennero fatti uscire dalle celle. Poi vennero pestati con i manganelli ed umiliati: molti vennero fatti inginocchiare in una sala dedicata alla socialità con gli agenti che di tanto in tanto li percuotevano. A qualcuno vennero tagliati i capelli e la barba. Scene da macelleria messicana riprese dalle telecamere della videosorveglianza installata in reparto che ripresero anche il pestaggio di un detenuto in carrozzina (di recente deceduto dopo la scarcerazione). Dopo la mattanza vennero individuati una quindicina di detenuti quali promotori della protesta del giorno prima. Vennero messi in isolamento per giorni, ingiustamente. Tra loro c’era Hakimi Lamine, poi morto. Per la Procura c'è una connessione tra quel decesso ed i maltrattamenti su un soggetto psicologicamente fragile. Lamine sarebbe morto per la presunta assunzione di una pesante dose di oppiacei.

Tra i difensori degli imputati sono impegnati - tra gli altri - gli avvocati Giuseppe Stellato, Raffaele Costanzo, Mariano Omarto, Vittorio Giaquinto, Carlo De Stavola, Angelo Raucci, Roberto Barbato, Dezio Ferraro, Elisabetta Carfora, Domenico Di Stasio, Valerio Stravino, Eduardo Razzino, Massimo Trigari, Luca Di Caprio, Mario Corsiero, Rossana Ferraro, Ernesto De Angelis, Claudio Botti, Vitale Stefanelli, Michele Spina, Fabrizio Giordano, Raffaele Russo, Valerio Alfonso Stravino, Antonio Leone, Domenico Pigrini, Ciro Balbo, Dario Mancino, Natalina Mastellone, Gabriele Piatto, Massimiliano Di Fuccia, Carlo De Benedictis, Rosario Avenia, Domenico Scarpone, Anna Maria Miranda e Nicola Russo. 

Tra gli avvocati che difendono i detenuti vittime delle aggressioni ci sono: Carmine D'Onofrio (tra i primi a depositare una denuncia per uno dei detenuti facendo avviare l'indagine), Luca Viggiano, Goffredo Grasso, Mirella Baldascino, Elvira Rispoli, Fabio Della Corte, Giuseppe De Lucia, Gennaro Caracciolo, Massimo D'Errico, Giuseppe Nespoli Ferdinando Letizia, Marco Argirò, Pasquale Delisati, Andrea Balletta e Giovanni Plomitallo. A rappresentare l'Asl di Caserta, invece, l'avvocato Marco Alois (mentre Stefano Montone rappresenta l'Asl come responsabile civile), l'avvocatura dello Stato si è costituita per il Ministero della Giustizia. 

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