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Cronaca Santa Maria Capua Vetere

Torture in carcere, garante detenuti: "Vertici penitenziario parlavano solo di perquisizione"

Radio Radicale ancora a microfoni spenti. Presentate le integrazioni di querela: "Vogliono abolire il reato di tortura"

La questione "Radio Radicale", l'esame del garante dei detenuti Samuele Ciambriello e le integrazioni di querela da parte dei difensori delle parti civili in seguito alla presentazione di una proposta di legge per abrogare il reato di tortura da parte di alcuni esponenti di Fratelli d'Italia, tra cui i casertani Marco Cerreto e Gimmi Cangiano. Questo in sintesi quanto accaduto all'aula bunker di Santa Maria Capua Vetere nel corso del processo sui pestaggi ai detenuti all'interno del penitenziario sammaritano avvenuti il 6 aprile del 2020 e per i quali sono sotto processo 105 imputati tra agenti della polizia penitenziaria, funzionari del Dap ed anche due medici (questi ultimi accusati di falso).

Radio Radicale ancora 'fuori onda'

In apertura dell'udienza il presidente della Corte d'Assise Roberto Donatiello ha spento - per la seconda volta - i microfoni di Radio Radicale. "Decideremo nell'udienza di mercoledì 5 aprile". Donatiello aveva annunciato per oggi la decisione definitiva sulla questione sollevata dai difensori di alcuni imputati, in particolare dagli avvocati Carlo De Stavola (legale di numerosi agenti) e Claudio Botti (legale dell'ex provveditore campane alle carceri Antonio Fullone), che nell'udienza del 22 marzo avevano chiesto che venisse interrotta per tutto il processo di primo grado la pubblicazione delle registrazioni delle udienze fatte da Radio Radicale (regolarmente autorizzata a registrare e pubblicare gli audio di tutte le udienze) lamentando violazioni del diritto di difesa; i due legali avevano chiesto di disporre la pubblicazione delle registrazioni solo dopo la fine del processo di primo grado. Oggi inoltre l'avvocato De Stavola, a sostegno della sua istanza, ha depositato l'ordinanza del tribunale di Genova del luglio 2022 relativa al processo per il crollo del Ponte Morandi, in cui il collegio ha vietato riprese televisive e foto un aula. Dal canto suo, il presidente del collegio di Corte d'Assise, dopo aver affermato di essersi già fatto un'idea della questione, ha poi annunciato che si prenderà un'altra settimana "per soppesare in modo approfondito la problematica", e per "far sedimentarie le idee". In mattinata anche il direttore di Radio Radicale Alessio Falconio ha chiesto che la Corte d`assise di Santa Maria Capua Vetere revochi il divieto e consenta la trasmissione delle udienze del processo per le torture ai detenuti.

Abolizione tortura sullo sfondo delle querele

Nel corso della mattinata, come accaduto anche nella giornata di martedì nel procedimento in abbreviato a carico di due agenti, i difensori dei detenuti che avrebbero subito violenze hanno depositato integrazioni di querela. In pratica, i detenuti hanno formalizzato le denunce ai danni degli agenti per evitare l'improcedibilità per alcuni reati - tra cui le lesioni - che sono procedibili esclusivamente a querela di parte secondo la riforma Cartabia. Va da sè che la tortura non rientra tra tali tipologie di reato ma i difensori hanno voluto 'coprirsi' anche alla luce della proposta di legge per l'abolizione del reato di tortura presentata da Fratelli d'Italia nei giorni scorsi. L'interpretazione del reato di tortura "potrebbe comportare la pericolosa attrazione nella nuova fattispecie penale di tutte le condotte dei soggetti preposti all'applicazione della legge, in particolare del personale delle Forze di polizia che per l'esercizio delle proprie funzioni - spiegano i firmatari nella relazione delle Pdl - è autorizzato a ricorrere legittimamente anche a mezzi di coazione fisica". Se non si abrogassero gli articoli 613-bis e 613-ter, si legge ancora "potrebbero finire nelle maglie del reato in esame comportamenti chiaramente estranei al suo ambito d'applicazione classico, tra cui un rigoroso uso della forza da parte della polizia durante un arresto o in operazioni di ordine pubblico particolarmente delicate o la collocazione di un detenuto in una cella sovraffollata. Ad esempio, gli appartenenti alla polizia penitenziaria rischierebbero quotidianamente denunce per tale reato a causa delle condizioni di invivibilità delle carceri e della mancanza di spazi detentivi, con conseguenze penali molto gravi e totalmente sproporzionate". 

La testimonianza del garante

Poi è stata la volta del testimone previsto per oggi: il garante regionale per i detenuti Samuele Ciambriello che ha ripercorso la vicenda ricordando quei giorni. "Dopo i pestaggi del sei aprile 2020 dei detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere, presentai una prima denuncia alla Procura l'otto aprile, poi in quei giorni parlai con l'allora direttore facente funzioni del carcere, Maria Parenti, con il capo degli agenti Gaetano Manganelli e con il provveditore campano alle carceri Antonio Fullone, e tutti e tre mi risposero che il 6 aprile c'era stata una perquisizione in risposta alle proteste del 5 aprile per la positività al Covid di un detenuto, qualcuno dei tre mi disse speciale, e nulla più", ha detto. Ciambriello ha spiegato di essersi mosso con i "piedi di piombo" anche perché i reclusi che via via denunciavano i pestaggi, spiega Ciambriello, "avevano paura di ritorsioni e di essere trasferiti in altre carceri". Un "muro" quello che Ciambriello si trovò di fronte, visto che nessuno dal carcere - tra funzionari, medici ed agenti - o dal Dap fece trapelare nulla di quanto accaduto realmente il 6 aprile. "Fullone - riferisce ancora il garante - mi disse che avevano sequestrato ai detenuti pentolini con olio e bollente, oggetti contundenti. Io avevo informazioni anche su violenze ai detenuti ma non gli contestai nulla". 

Le prime segnalazioni sui social

Rispondendo alle domande il garante regionale dei detenuti ha detto di avere appreso dei pestaggi dai social: "perché già nel pomeriggio del 6 aprile iniziavano a circolare testimonianze di detenuti e una foto di un recluso con lividi sulla schiena. Poi il 9 aprile iniziai l'ascolto dei detenuti, che terminò il 27 aprile, e i reclusi mi parlarono dei pestaggi subiti, uno mi raccontò di aver subito anche un abuso, altri di essere passati tra due ali di agenti che li picchiavano, ma di non averli saputi riconoscere perché con caschi e mascherine". Ciambriello ricorda di aver parlato dei fatti accaduti con alcune testate giornalistiche già qualche giorno dopo il 6 aprile. Con i vertici di carcere e Dap, ma anche con i medici in servizio al penitenziario, Ciambriello non ha però fatto parola dei pestaggi. Il pm gli ricorda di una lettera inviata il 13 aprile al responsabile medico Nicola Palmiero (imputato), in cui il garante gli chiedeva delle condizioni sanitarie di alcuni detenuti messi in isolamento con problemi pregressi di salute. "Lei ha glissato sulle violenze?" "Si, perché era il medico che doveva parlarmene" ha risposto Ciambriello. Ci sono state scintille tra accusa e difese sulle domande poste. Il garante è stato poi controesaminato dai legali di alcuni imputati, confermando di "non essersi relazionato la mattina successiva ai pestaggi, ovvero il 7 aprile, con nessuno nel carcere, perché dovevo assumere informazioni su quanto accaduto. Poi successivamente ho parlato con Fullone, la Parenti e Manganelli". "Eppure lei aveva saputo già nel pomeriggio del sei aprile che qualcosa era accaduto, perché non si è relazionato con nessuno il 7 aprile? ha chiesto l'avvocato De Stavola. "Io non dovevo relazionarmi con nessuno" ha replicato il garante. Ciambriello, rispondendo infine alle domande dell'avvocato Stellato, difensore di Manganelli, tra gli imputati principali, spiega che "il comandante era un buon mediatore, apprezzato dai detenuti, e mediò anche la sera del 5 aprile quando i detenuti protestarono per la positività di uno di loro, facendo rientrare la protesta".

Il processo

I fatti di cui al processo sono accaduti il 6 aprile del 2020 dopo che il giorno precedente ci fu una protesta dei detenuti in seguito al primo contagio Covid nel penitenziario. La reazione degli agenti fu durissima: bisognava ripristinare l'ordine adottando il "sistema Poggioreale". Circa 200 agenti entrarono in reparto per una perquisizione straordinaria. I detenuti vennero fatti uscire dalle celle e pestati con i manganelli ed umiliati. Molti vennero fatti inginocchiare in una sala dedicata alla socialità con gli agenti che di tanto in tanto li percuotevano. A qualcuno vennero tagliati i capelli e la barba. Scene da macelleria messicana riprese dalle telecamere della videosorveglianza installata in reparto che ripresero anche il pestaggio di un detenuto in carrozzina.

Tra gli avvocati che difendono i detenuti vittime delle aggressioni ci sono: Carmine D'Onofrio (tra i primi a depositare una denuncia per uno dei detenuti facendo avviare l'indagine), Mirella Baldascino, Luca Viggiano, Goffredo Grasso, Elvira Rispoli, Fabio Della Corte, Giuseppe De Lucia, Gennaro Caracciolo, Ferdinando Letizia, Marco Argirò, Pasquale Delisati, Andrea Balletta e Giovanni Plomitallo. A rappresentare l'Asl di Caserta, invece, l'avvocato Marco Alois mentre l'avvocatura dello Stato si è costituita per il Ministero della Giustizia.  Asl e Ministero della Giustizia sono stati citati anche in qualità di responsabili civili. 

Tra i difensori degli imputati sono impegnati - tra gli altri - gli avvocati Giuseppe Stellato, Mariano Omarto, Vittorio Giaquinto, Carlo De Stavola, Raffaele Costanzo, Angelo Raucci, Roberto Barbato, Dezio Ferraro, Elisabetta Carfora, Domenico Di Stasio, Valerio Stravino, Massimo Trigari, Luca Di Caprio, Mario Corsiero, Rossana Ferraro, Ernesto De Angelis, Claudio Botti, Vitale Stefanelli, Michele Spina, Fabrizio Giordano, Raffaele Russo, Valerio Alfonso Stravino, Antonio Leone, Domenico Pigrini, Ciro Balbo, Dario Mancino, Natalina Mastellone, Gabriele Piatto, Carlo De Benedictis, Rosario Avenia, Domenico Scarpone, Eduardo Razzino e Nicola Russo. 

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