rotate-mobile
Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Casapesenna

Accusati di essere gli "imprenditori di Zagaria" in Toscana: tutti assolti

Tra gli imputati anche Diana, che aveva sposato la nipote del capoclan

Tutti assolti. Questa la decisione del gip Farini del tribunale di Firenze all'esito del processo in abbreviato sul presunto riciclaggio di denaro da parte del clan dei Casalesi in Toscana con il sistema delle false fatture. Un business stimato dalla guardia di finanza in circa 8 milioni di euro.

Il giudice ha assolto dalle accuse i vertici del presunto sodalizio: l'imprenditore Giuseppe Diana, alias Peppe il Biondo, che per gli inquirenti vicinissimo al boss Michele Zagaria di cui ha sposato una nipote, la figlia della sorella del capoclan Elvira. Assolti anche sui fratello Raffaele Diana e l'altro imprenditore ritenuto a capo dell'organizzazione, Antonio Esposito, alias 'suricillo', anche lui originario di Casapesenna e trapiantato in Toscana, in provincia di Lucca, già dagli anni '90.

Sentenza assolutoria anche per i fratelli Amedeo ed Enrico Laudante, entrambi di Aversa, e per Raffaele Napoletano, di Villaricca. Un altro imputato, invece, ha patteggiato la pena mentre un altro ancora ha optato per il rito ordinario. Nel collegio difensivo gli avvocati Sabato Graziano, Guido Diana, Carlo De Stavola, Domenico Cesaro, Gianfranco Carbone, Pasquale Verde.

Secondo gli inquirenti delle fiamme gialle, i 'colletti bianchi' collegati al clan, attraverso molteplici società operanti nei settori immobiliari e commerciali, avrebbero reimpiegato ingenti disponibilità finanziarie di provenienza delittuosa in attività imprenditoriali ubicate anche sul territorio toscano. Partendo dal flusso dei pagamenti relativi all’esecuzione dei lavori appaltati, le Fiamme Gialle hanno ipotizzato un complesso sistema di false fatturazioni posto a copertura di cospicui e continui bonifici in uscita dalle aziende di costruzione e disposti a vantaggio di società "cartiere" per un importo complessivo di circa 8 milioni.

I conti correnti di queste venivano poi svuotati attraverso un'organizzata squadra di "bancomattisti prelevatori", persone prossime alla soglia della povertà e alcune delle quali beneficiarie di reddito di cittadinanza (RdC, sostegno economico introdotto nel 2019) o di emergenza (REM, misura introdotta a seguito dell’emergenza epidemiologica), remunerate dal sodalizio con commissioni pari al 2-3% delle somme monetizzate (equivalenti a somme nell'ordine dei 50/100 euro). 

Un sofisticato sistema fraudolento, così lo hanno descritto gli inquirenti, fondato su diverse società, ritenute riconducibili agli indagati e formalmente gestite da prestanome, che hanno svolto diversi lavori edili sul territorio nazionale, operando perlopiù in subappalto.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Accusati di essere gli "imprenditori di Zagaria" in Toscana: tutti assolti

CasertaNews è in caricamento