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Cronaca Casal di Principe

Permessi ai boss, la Corte Costituzionale: "L'ergastolo ostativo è illegittimo"

Per la Corte i benefici devono andare anche a chi non collabora con la giustizia. Patata bollente per i giudici di sorveglianza

Permessi anche ai boss che scelgono di non collaborare con la giustizia. La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'ergastolo ostativo - che colpisce i condannati all'ergastolo per reati di mafia, tra cui i capi dei Casalesi Francesco Schiavone Sandokan, Francesco Bidognetti e Giuseppe Setola - allineandosi alla decisione della Corte di Strasburgo.

La Corte si è pronunciata sulle questioni sollevate dalla Corte di cassazione e dal Tribunale di sorveglianza di Perugia sulla legittimità dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’Ordinamento penitenziario là dove impedisce che per i reati in esso indicati (reati di mafia o terrorismo) siano concessi permessi premio ai condannati che non collaborano con la giustizia.

In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa della Corte fa sapere che "a conclusione della discussione le questioni sono state accolte nei seguenti termini. La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’Ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata".

Per i giudici il condannato deve dare "prova di partecipazione al percorso rieducativo. In questo caso, la Corte - pronunciandosi nei limiti della richiesta dei giudici rimettenti - ha quindi sottratto la concessione del solo permesso premio alla generale applicazione del meccanismo “ostativo” (secondo cui i condannati per i reati previsti dall’articolo 4 bis che dopo la condanna non collaborano con la giustizia non possono accedere ai benefici previsti dall’Ordinamento penitenziario per la generalità dei detenuti)".

In virtù della pronuncia della Corte: "la presunzione di “pericolosità sociale” del detenuto non collaborante non è più assoluta ma diventa relativa e quindi può essere superata dal magistrato di sorveglianza, la cui valutazione caso per caso deve basarsi sulle relazioni del Carcere nonché sulle informazioni e i pareri di varie autorità, dalla Procura antimafia o antiterrorismo al competente Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica". Insomma una seconda chance per i boss detenuti ed una patata bollente per chi dovrà decidere sulle loro sorti. 

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