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Cronaca Sant'Arpino

"Sottotetto da sgomberare" ma il giudice ribalta tutto

Il Comune è costretto a fare dietrofront dopo la sentenza del giudic

Il Comune di Sant’Arpino prima firma un’ordinanza di demolizione e poi è costretto a fare dietrofront dopo la sentenza della sezione Ottava del Tar della Campania. Il giudice ha infatti accolto il ricorso presentato dalla signora Pasqualina Barbato contro l’Ente ottenendo l’annullamento dell’ordinanza numero 51 addirittura del 5 ottobre 2016 emessa dal Responsabile dell’Area Servizio Urbanistica ed Edilizia privata del Comune di Sant’Arpino con la quale si disponeva lo sgombero del sottotetto al secondo piano del fabbricato in via Pappus. Per il giudice “il ricorso è fondato e, pertanto, deve essere accolto”.

Oggetto della controversia è l’ordinanza con la quale il Comune di Sant’Arpino, preso atto dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione numero 35 del 22 marzo 2004 (con la quale era stata contestata l’abusiva realizzazione di un sottotetto in sopraelevazione al fabbricato esistente), ha dichiarato “l’acquisizione gratuita di diritto al patrimonio comunale dell’immobile accertato alla data del sopralluogo e nello stato di fatto in cui ora si trova, dell’area di sedime e di quella circostante”.

Ma il Tar ha chiarito che “l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere edilizie abusivamente realizzate costituisce una misura di carattere sanzionatorio che consegue automaticamente all’inottemperanza all’ordine di demolizione, né in senso ostativo all’acquisizione può assumere rilevanza l’assenza di motivazione specifica sulle ragioni di interesse pubblico perseguite mediante l’acquisizione, essendo in re ipsa l’interesse all’adozione della misura, stante la natura interamente vincolata del provvedimento, sicché risulta necessario solo che in detto atto siano esattamente individuate ed elencate le opere e le relative pertinenze urbanistiche”.

Ma resta ferma “la necessità di un provvedimento amministrativo che definisca l’oggetto dell’acquisizione al patrimonio comunale attraverso la quantificazione e la perimetrazione dell’area sottratta al privato. Proprio perché non può ragionevolmente ritenersi che il legislatore abbia rimesso la determinazione dell’ulteriore area acquisibile al puro arbitrio dell’Amministrazione, quest’ultima è tenuta a specificare, volta per volta, in motivazione le ragioni che rendono necessario disporre l’ulteriore acquisto, nonché ad indicare con precisione l’area di cui viene disposta l’acquisizione. Nella fattispecie, la ricorrente fondatamente lamenta il difetto di motivazione e la genericità del provvedimento nell’individuare i beni e le aree da acquisire al patrimonio comunale”.

Recentemente il Consiglio di Stato ha affermato che “l’omessa o imprecisa indicazione di un’area che dovrà essere acquisita di diritto al patrimonio pubblico non costituisce un motivo di illegittimità dell’ordinanza di demolizione, essendo l’indicazione dell’area un requisito necessario ai fini dell’acquisizione al patrimonio comunale”. Nella fattispecie, l’atto non identifica in alcun modo l’area da acquisire facendo solo riferimento all’immobile, all’area di sedime e a quella circostante; più nello specifico dal provvedimento non è dato comprendere le dimensioni del manufatto abusivo da acquisire e che rapporto vi sia tra superficie costruita e quella acquisita che viene individuata genericamente come l’area “circostante”. In conclusione, il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento dell’atto impugnato, fatte salve le ulteriori determinazioni dell’amministrazione. Il Comune dovrà anche pagare le spese liquidate in 1500 euro. 

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