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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca San Tammaro

Difesa Lavoretano smonta le accuse: "Katia uccisa in un furto. Emilio era disperato"

Le arringhe dei legali nel processo d'appello per l'omicidio Tondi: indice puntato su indagini lacunose sull'orario della morte

"Venite qua per piacere, venite fate presto", "sta mia moglie a terra sta dentro casa tutta nera", "sta tutto fuori posto sono venuti a rubare". Ogni frase confusa con un pianto disperato verso gli operatori del 118 e del 113. La disperazione era quella di Emilio Lavoretano alla vista del corpo senza vita di Katia Tondi, sua moglie strangolata con un laccio nel loro appartamento al terzo piano del Parco Laurus di San Tammaro il 20 luglio 2013, omicidio per il quale è stato condannato in primo grado a 27 anni dalla Corte d'Assise di Santa Maria Capua Vetere.

Lacrime e disperazione censurati dall'accusa che nella personalità di Emilio Lavoretano, l'ex meccanico di Santa Maria Capua Vetere hanno visto un soggetto pericoloso, impassibile, freddo non nuovo a scatti d'ira e morbosamente geloso. Eppure la disperazione di Emilio Lavoretano emerge dalle telefonate fatte ai soccorritori, nelle testimonianze della vicina, persona a cui si rivolse nell'immediatezza dei fatti che evidenzió quanto Lavoretano fosse in uno stato di shock, 'imbambolato', che non si rendeva conto di cosa fosse successo o quanto stesse accadendo. Sono gli aspetti evidenziati nelle aringhe dei difensori di Emilio Lavoretano, gli avvocati Carlo De Stavola ed Elisabetta Carfora dinanzi alla Prima Sezione della Corte d'Assise d'Appello di Napoli presieduta da Maria Alaia.

Secondo l'accusa Lavoretano alla vista del corpo esanime della moglie non pianse, non cercò di convincere i sanitari a proseguire il massaggio cardiaco sul corpo di Katia che non respirava da oltre venti minuti dall'arrivo dell'ambulanza. Per gli inquirenti è apparso come un freddo omicida, tesi che la difesa ha provato a confutare con la riproduzione del contenuto delle chiamate ai soccorritori dove il pianto disperato ne era il filo conduttore oltre l'incitamento a che giungessero quanto prima in quell'appartamento dove si era consumato il delitto. L'attenzione degli inquirenti si è spostata sul comportamento dei genitori di Emilio che giunsero sul luogo del delitto come se avessero già contezza dell'accaduto ed in tale atteggiamento c'era, secondo l'accusa, una volontà di 'coprire' il figlio per il crimine commesso.

La difesa con riferimento al contenuto della telefonata al 113 ha mostrato il perché i genitori di Emilio Lavoretano avessero contezza dei tragici eventi. Erano stati informati dalla vicina che li avvisó che 'Katia sta a terra. Emilio ha chiamato il 118 ed il 113, sta tutto sottosopra'. L'ipotesi di un furto che fosse sfociato in un omicidio fu censurata fin da subito dagli inquirenti e le motivazioni che vennero addotte facevano riferimento allo scarso reddito percepito da Lavoretano in quanto meccanico e quindi poco appetibile per dei ladri. Eppure in quel tragico sabato di luglio l'appartamento al terzo piano di Parco Laurus era a soqquadro, con i cassetti della camera da letto rovistati in cerca di monili preziosi e dove furono sottratti 30 euro nel portafogli di Katia Tondi, la fede ed un punto luce che la donna indossava.

La prova schiacciante della colpevolezza dell'uxoricida Emilio Lavoretano è sempre stato per gli inquirenti l'orario della morte presumibilmente risalente alle 18,orario in cui Emilio Lavoretano era in compagnia della moglie e del figlioletto. Per avvalorare la tesi che l'omicidio di Katia Tondi si fosse consumato alle 18 gli inquirenti hanno fatto ricorso all'esame del contenuto gastrico di Katia Tondi in sede autoptica dove si giunge ad un orario approssimativo delle 18. I difensori di Lavoretano hanno fatto emergere mediante un ulteriore consulenza medico legale che l'analisi del contenuto gastrico risente della particolarità di ogni singolo soggetto la cui analisi va effettuata e come tale non può essere utilizzata per stabilire oggettivamente l'ora del decesso. L'unica oggettività ammessa è il ricorso alla triade di parametri dell'algor mortis, livor mortis e rigor mortis. Parametri non valutati per l'omicidio di Katia Tondi dove tra indagini lacunose ed accertamenti tecnici mai effettuati la certezza nella vicenda giuridica che vede coinvolto l'ex meccanico sammaritano non è emersa. L'assenza di movente è un ulteriore elemento emerso nella tesi difensiva benché Lavoretano sia apparso per l'accusa come un fedifrago morbosamente geloso incline alla violenza. Una morbosa gelosia alla base di un litigio tra i coniugi avrebbe giustificato l'evolversi in un tragico epilogo. Il movente non è stato trovato. Katia ed Emilio venivano descritti da familiari, amici e conoscenti come una coppia felice che non discuteva mai.

Ad Emilio Lavoretano è stata censurata la sofferenza nel corso del processo che lo vede l'unico imputato. Eppure Emilio dopo qualche settimana che riprese a lavorare anche incitato dalla famiglia veniva spesso sorpreso a piangere disperato per la perdita di Katia come testimonió il proprio datore di lavoro ed era la stessa persona che si recava al cimitero dalla moglie prima di andare a lavoro e nel pomeriggio per parlare sulla sua tomba. L'unico imputato di un omicidio efferato  però è stato considerato un soggetto pericoloso capace di progettare lucidi disegni delittuosi secondo quanto ritenuto dai difensori delle parti civili (Gianluca Giordano, Giovanni Plomitallo, Rossana Santoro) oltre che bugiardo. Eppure la versione fornita da Lavoretano ha avuto il suffragio di riscontri tecnici oggettivi come la propria disperazione, di un uomo 'a cui è cambiata la vita perché è morta la moglie'.

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