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Cronaca Santa Maria Capua Vetere

Omicidio di camorra in diretta telefonica: "Ha detto il mio nome. Poi ho sentito solo gli spari"

La compagna di Caterino svela il retroscena del duplice delitto. Il pentito Monaco: "Televisore e 5mila euro ai Moronese"

"Mi chiamò con voce fioca: 'Angela'. Poi sentii i colpi di pistola, tanti. Li sentii provenire dal telefono e in strada a due passi da casa mia. Corsi subito fuori verso il ponte dell'Alifana. Vidi molta gente le transenne ed il corpo di Sebastiano in auto, morto. Vidi Umberto ancora vivo che lo stavano portando via ferito". È il racconto di Angela Viviani, compagna storica di Sebastiano Caterino, reso ai giudici della Corte d'Assise di Santa Maria Capua Vetere nel processo per l'efferato duplice omicidio del compagno di vita e di suo nipote Umberto De Falco, avvenuto il 31 ottobre 2003 in via dei Romani, a Santa Maria Capua Vetere.

Il racconto della compagna della vittima

Dinanzi alla Corte d'Assise presieduta dal giudice Roberto Donatiello con a latere Honoré Dessì sono finiti Corrado De Luca, luogotenente del boss Antonio Iovine, accusato di concorso esterno in omicidio poiché avrebbe preso parte ad un appostamento finalizzato ad eliminare Sebastiano Caterino, e la famiglia Moronese (Sandro, Agostino e Raffaelina Nespoli) che avrebbe fornito al gruppo di fuoco la propria abitazione per compiere il duplice omicidio. "Sapevo che Sebastiano apparteneva al clan dei Casalesi, ma riguardava il suo passato. Lui voleva cambiare vita tant'è che ci trasferimmo a Santa Maria Capua Vetere. Sapevo anche che c'erano stati dei conflitti con quelle persone ma lui tante cose non me le diceva. Noi volevamo vivere in pace. Poco prima dell'omicidio lui era sempre agitato e guardingo si comportava come se gli dovesse accadere qualcosa di brutto un momento all'altro e purtroppo così è stato".

Le armi sotterrate nell'azienda agricola

Nel corso dell'udienza è stato, inoltre, escusso il collaboratore di giustizia Antonio Monaco che per l'efferato fatto di sangue è stato condannato all'ergastolo in primo grado e alla pena di 15 anni in appello. Il pentito escusso, dal sostituto procuratore della Dda partenopea Simona Belluccio, ha chiarito il suo ruolo nel delitto di camorra: "Io, Massimo Vitolo e Aversano Stabile abbiamo recuperato parte delle armi utilizzate per compiere l'omicidio di proprietà di Carlino Del Vecchio in una masseria a Santa Maria La Fossa. Erano sotterrate e custodite all'interno di bidoni di ferro. Siamo andati lì in quel podere", di proprietà di un parente di Francesco Bidognetti, "le abbiamo disseppellite e verificato se erano funzionanti. Aversano Stabile si occupò di controllare il funzionamento delle armi. Era molto bravo in questo da cacciatore se ne intendeva. Disseppellimmo due kalashnikov,un fucile a pompa ed una pistola calibro 9x21. Le armi le mettemmo nel cofano di una Alfa Romeo 166 senza serratura nel lato sinistro utilizzata per commettere l'omicidio e ci recammo a Santa Maria Capua Vetere".

Il pentito: "Televisore e 5mila euro per i Moronese"

Il pentito Monaco ha chiarito alla Corte il ruolo della famiglia Moronese. " Quando prendemmo le armi e le mettemmo nella 166 ci recammo nell'abitazione della famiglia Moronese. Lì lasciavamo l'auto in un deposito nel lato in costruzione della casa. Utilizzavamo quella casa per gli appostamenti. La famiglia Moronese sapeva il perché noi eravamo lì. Spesso mangiavamo con loro. La zia (nomignolo con cui veniva appellata Raffaelina Nespoli) spesso ci chiamava pure per darci il pane, le salsicce. Agostino quando andavamo lì per gli appostamenti ci raccontava degli spostamenti di Sebastiano". Un contributo che avrebbe 'fruttato' ad ognuno qualcosa secondo le dichiarazioni del pentito Monaco: "Alla famiglia Moronese per l'aiuto venne dato un mega televisore e la somma di 5000 euro. Chi aveva partecipato in qualche modo aveva ricevuto 5000 euro come regalo. Io ricevetti una sorta di aumento dallo stipendio mensile che prendevo e più autonomia sul territorio ma non ricevuto i 5000 euro. Alcuni poi come Vitolo ricevettero come premio il rito della pungitura". 

L'omicidio

Secondo quanto ricostruito dalla Dda verso le 11,40 del 31 ottobre del 2003 vennero crivellati con 50 colpi di arma da fuoco Sebastiano Caterino e suo nipote Umberto De Falco a bordo di una Volkswagen Golf GTI condotta da Caterino. La marcia della vettura venne arrestata da due Alfa Romeo una guidata da Enrico Martinelli e l'altra a bordo della quale c'era il commando killer a cui avrebbero preso parte Pasquale Spierto e Bruno Lanza (che hanno proceduto con rito abbreviato) che esplose 50 colpi di arma da fuoco (37 proiettili calibro 5,56 e 13 calibro 12) all'indirizzo delle vittime. Per Caterino non ci fu scampo: morì crivellato di colpi. Il nipote Umberto De Falco venne ferito gravemente per poi morire qualche ora dopo l'agguato in ospedale. L'ordine di condanna a morte per Sebastiano Caterino e suo nipote avvenne dalla cupola casalese ovvero da Antonio Iovine, Michele Zagaria, Giuseppe Caterino, Francesco Schiavone alias Cicciariello che hanno proceduto per la medesima imputazione con rito abbreviato insieme a Giuseppe Misso, Nicola Panaro, Bruno Lanza, Enrico Martinelli, Claudio Giuseppe Virgilio. Si torna in aula nella prima settimana di giugno per l'escussione dei collaboratori di giustizia  Salvatore Amato, Massimo Vitolo ,Giuseppe Caterino, Salvatore Laiso. Nel collegio difensivo sono impegnati gli avvocati Paolo Raimondo, Giuseppe Stellato, Domenico Della Gatta per gli imputati; Giuseppe Conte, Carlo Iorio, Mauro Iodice per le costituite parti civili.
 

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