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Cronaca Carinaro

Ucciso e dato alle fiamme, Appello della Procura in ritardo: 2 assolti

Confermata l'assoluzione per Di Martino e Lanzetta accusati del delitto di Ricciardi

Appello della Procura tardivo e conferma dell'assoluzione per due imputati accusati di omicidio. Questa la sentenza pronunciata dai giudici della Quinta Sezione della corte partenopea, presieduta da Loredana Acierno, che hanno pronunciato sentenza assolutoria (confermando la decisione del primo grado) nei confronti di Nicola Di Martino e Carmine Lanzetta accusati del delitto di Salvatore Ricciardi, avvenuto nel marzo del 2010. Accolta l'eccezione sollevata dai difensori sul termine per l'impugnazione della sentenza da parte della Procura Generale.

Ricciardi, 31enne di Teverola ed esattore del clan dei casalesi legato a Raffaele Di Tella, venne ucciso con tre colpi di arma di fuoco e poi dato alle fiamme insieme alla propria vettura nelle campagne di Carinaro, località Cesine. I legali di Di Martino e Lanzetta hanno evidenziato la scadenza dei termini utili per proporre appello per effetto della norma sull'impugnazione in virtù della quale la decorrenza dei termini per l'impugnazione ha inizio dal giorno del deposito o della notifica della sentenza di primo grado. Un termine mal calcolato dalla Procura Generale tanto da depositare l'atto di appello con uno 'scarto' temporale di due giorni. Termini quindi abbondantemente decorsi che hanno portato i magistrati partenopei alla conferma della formula assolutoria di Nicola Di Martino e Carmine Lanzetta 'per non aver commesso il fatto' pronunciata nel febbraio 2017 dalla Corte d'Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere presieduta da Giovanna Napoletano (con giudice a latere Giuseppe Meccariello).

In località Cesine a Carinaro il 18 marzo 2010 un agricoltore ritrovò nelle campagne una Renault Clio incendiata con accanto il corpo di un uomo freddato con 3 colpi d'arma da fuoco e semi carbonizzato (piedi e polpacci). Il cadavere era quello di Salvatore Ricciardi 31 enne di Carinaro esattore del clan dei casalesi che nel luglio 2009 venne arrestato insieme ad altri affiliati legati al capozona Raffaele Di Tella e scarcerato al Riesame per un vizio formale. Ciò che decretó la morte di Salvatore Ricciardi fu una estorsione fatta a Carinaro, territorio controllato da Nicola Di Martino, alias Nicola 23, affiliato alla fazione Schiavone. Uno sgarro che gli costò la vita.

Per ucciderlo gli tesero una trappola. I sicari gli si avvicinarono quando era ancora a bordo dell'auto ed esplosero un primo colpo. Il 31enne scese dall'auto in un disperato tentativo di mettersi in salvo ma venne giustiziato con due colpi di pistola in pieno volto. Venne poi cosparso di benzina e dato alle fiamme insieme all'auto accanto alla quale venne ritrovato. Dell'efferato omicidio di camorra vennero ritenuti responsabili Di Martino e Lanzetta grazie anche alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia quali Francesco Barbato, Nicola Schiavone e Mario Iavarazzo che attribuivano ai due l'uccisione di Ricciardi e per gli indiziari elementi raccolti.

Un dato confutato dai difensori fu quello dell'ora precisa della morte di Ricciardi che secondo l'accusa rientrava nella fascia oraria 20.30- 21.30. Un arco temporale in cui vi era un incrocio di contatti telefonici e di celle che collocavano l'utenza di Lanzetta nei pressi del cimitero di Carinaro, area poco distante dal luogo del ritrovamento del cadavere di Ricciardi. L'elemento decisivo venne fornito dal medico legale nominato dai togati sammaritani che collocò l'ora del decesso di Salvatore Ricciardi a dopo mezzanotte. Vennero poi escussi i collaboratori di giustizia e dalle loro frammentarie dichiarazioni non emerse un quadro sufficientemente chiaro della responsabilità degli imputati che quindi vennero assolti.

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