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Cronaca

Carpentiere casertano morì in un cantiere, dopo 13 anni parte il processo d'appello

L'uomo fu schiacciato da un blocco di calcestruzzo

Furono condannati a un anno e quattro mesi per omicidio colposo e dopo quattro anni per loro si apre il processo d'appello. E' una vicenda straziante quella che verrà rievocata il prossimo 20 maggio di fronte alla terza sezione della corte fiorentina. Quella della morte di Vincenzo Spinello, il carpentiere casertano che perse la vita a 59 anni, schiacciato sotto un enorme blocco di cemento nel cantiere dove si stava costruendo il nuovo Centro affari.

Per quella tragedia furono condannate 9 persone: secondo il giudice del tribunale di Arezzo che pronunciò la sentenza, Fabio Lombardo, non si trattò di una terribile fatalità o di imprudenza, bensì ci sarebbero state delle responsabilità da parte dei datori di lavoro, ovvero i titolari della ditta che operava in sub-subappalto al cantiere di Arezzo Fiere e Congressi, da parte dei rappresentanti e responsabili dell’impresa appaltante e di due professionisti aretini, ingegneri che ricoprivano il ruolo di direttore dei lavori e coordinatore della sicurezza.

Secondo i difensori si trattò però di una fatalità: per questo hanno impugnato la sentenza del marzo del 2018 e hanno presentato il ricorso. Tra meno di un mese dunque la corte fiorentina dovrà decidere se confermare le condanne o oppure accogliere la tesi della difesa. I legali degli imputati parlano infatti di un drammatico caso del tutto fortuito: secondo le difese, infatti, l'uomo stava lavorando in un'altra parte del cantiere e avrebbe raggiunto l'area del crollo. 

Quel 30 luglio del 2009 era una giornata torrida. Il carpentiere, residente nel Casertano e con molti anni di esperienza alle spalle, si trovava sotto un plinto del vecchio edificio. In pochi attimi si consumò la tragedia: il blocco di calcestruzzo crollò e lo schiacciò. Secondo le prime ricostruzioni, l'uomo avrebbe cercato un po' di refrigerio nella pausa pranzo. Diversa la versione del pm del tribunale di Arezzo, Luigi Niccacci, che nella sua requisitoria sostenne che l'uomo perse la vita mentre stava svolgendo le sue mansioni. 

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