Morì in un'area del cantiere vietata: negati i danni alla famiglia
La sentenza della Cassazione: i familiari dovranno anche versare le spese di giudizio
Si chiude dopo quasi venti anni la vicenda processuale scaturita da una morte bianca avvenuta a Casagiove. La Cassazione ha stabilito che "non ci sono responsabilità da parte della ditta presso cui lavorava la vittima del tragico incidente", per cui non vi sarà nessun risarcimento agli eredi. Era il primo ottobre del 2003 quando Paolo Valentino Mauro, 53 anni, operaio edile impegnato nei lavori in corso al quartiere militare borbonico, perdeva la vita - così come riferito da 'Il Mattino' - a causa di una caduta provocata dal cedimento di un solaio.
L’anno successivo prende il via - presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - il processo civile che si chiude dopo dieci anni con il rigetto della domanda risarcitoria presentata dalla moglie e dai quattro figli dell’operaio: l’infortunio era avvenuto in un’area nella quale era interdetto l’accesso ai lavoratori.
La sentenza viene appellata dai soccombenti, ma nel 2019 la Corte d’Appello di Napoli conferma la sentenza di primo grado. Nuova impugnazione da parte degli eredi dello sfortunato operaio, questa volta dinanzi alla Corte di Cassazione: non era stato accertato se la vittima fosse informata del divieto di accesso all’area dell’infortunio, né si era proceduto alla verifica della dotazione di sicurezza personale. Inoltre la zona del solaio crollato non era stata completamente interclusa, ed era rimasta accessibile. Argomentazioni che però non sono state accolte dalla Suprema Corte.
Secondo il collegio giudicante della sesta sezione (presidente Adelaide Amendola, relatore Marco Rossetti) è condivisibile la posizione espressa sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello secondo cui il datore di lavoro, inserendo nel giornale di cantiere l’ordine di servizio contenente il divieto di accesso all’area dell’infortunio, e recintando quest’ultima con "nastri di cantiere", avesse fatto quanto necessario per rendere conoscibile a tutti i lavoratori l’interclusione della zona. Su questa premessa è irrilevante la circostanza secondo cui l’area fosse ugualmente accessibile.
Resta fissata, quindi, l’affermazione del tribunale secondo cui "la vittima doveva ritenersi in colpa perché, pur conoscendo o potendo conoscere il divieto di accesso a una certa area di cantiere, vi si era introdotta". Domanda risarcitoria respinta in via definitiva, quindi, con gli eredi della vittima condannati a pagare anche le spese di giudizio.