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Cronaca Bellona

Minaccia di morte la nipote ed il marito con una falce

Era ossessionata dal fatto che la donna rubasse i soldi al padre

La Suprema Corte conferma la condanna a 2 anni e 6 mesi di reclusione per Agnese Di Giovannantonio, 68 anni di Bellona, accusata di violenza aggravata e minacce ai danni dei propri familiari. È quanto disposto dalla Quinta Sezione della Corte di Cassazione che ha rigettato il ricorso avanzato nell'interesse dell’imputata dagli avvocati Francedco Marino e Incoronata Giannotti, confermando le precedenti pronunce che vedevano coinvolta la donna tratta in arresto il primo febbraio 2021 dai carabinieri della compagnia di Capua mentre proferiva minacce di morte verso i propri congiunti.

"Ti devo uccidere", "ti devo tagliare la testa", "ti mando al cimitero”: erano queste le minacce dirette alla nipote ed al marito brandendo una falce estratta dal carrello portaspesa in presenza dei figlioletti di 3 ed un anno della coppia. Il motivo di tanta acredine nei confronti dei congiunti risiedeva nella convinzione che l'assistenza prestata dalla nipote al padre fosse a scopo di lucro. Una sorta di escamotage per intascare i soldi della pensione dell'anziano. Un'ossessione che portò la 68enne persecutrice ad appostamenti sotto casa della nipote e del padre, tutti residenti a Bellona, per poi minacciarli di morte sia tra le mura domestiche che per strada.

Gli atteggiamenti persecutori della 69 enne, nonché significativi episodi di rabbia, portarono i congiunti (assistiti dagli avvocati Andrea Di Dario e Maria Celeste Cafaro) alla denuncia agli uomini dell'Arma. I militari ricostruirono l'iter di instabilità e persecuzione che il nucleo familiare dovette subire già dal settembre 2020. Gesti di squilibrio non erano episodi isolati come quello che avvenne nel dicembre del 2020 quando Agnese Di Giovanniantonio, dopo esser uscita dall'appartamento dei congiunti, indirizzó la sua rabbia verso una panchina posta all'ingresso dell'abitazione nell'atrio. La distrusse.

Il leitmotiv della vita di Agnese Di Giovanniantonio è stato quello della violenza efferata. A soli 26 anni il 30 maggio del 1980 sgozzó, nel piazzale antistante l'ospedale Palasciano di Capua, il primario del reparto di chirurgia Dario Russo a bordo della sua Fiat 132. Si avvicinò alla vettura dell'uomo e con un colpo fulmineo gli recise la giugulare con un coltello a doppia lama in uso ai calzolai. Il medico spiró in pochi secondi. La colpa del sanitario fu quella di non aver mantenuto una promessa di impiego presso il presidio sanitario capuano per la Di Giovanniantonio. Il carcere non fu rieducativo, tant'è che nel 2014 la persecutrice di Bellona venne tratta in arresto per atti persecutori nei confronti di un coetaneo di Vitulazio, reo di non ricambiare il suo amore.

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