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Cronaca Casal di Principe

Il figlio del capoclan respinge le accuse: "Speso il mio nome e quello di mio padre per le estorsioni"

Gianluca Bidognetti risponde alle domande del gip. Anche l'imprenditore Cerullo si difende durante l'interrogatorio

Il figlio del capoclan Cicciotto e’ Mezzanotte, Gianluca Bidognetti, respinge le contestazioni mosse dalla Dda di Napoli durante l'interrogatorio di garanzia reso dinanzi al gip Vera Iaselli del tribunale di Napoli.

Assistito dai suoi legali, gli avvocati Domenico Della Gatta e Domenico Dello Iacono, il figlio del boss individuato dagli inquirenti come l’odierno reggente della storica famiglia camorrista ha chiarito che non ha mai ordinato una spedizione punitiva a suo di piombo nei confronti di Attilio Guida per colpire lo storico amico "fraterno" Emilio Martinelli, elemento legato alla fazione di Schiavone. Bidognetti jr. inoltre ha negato gli attriti crescenti con il cognato Vincenzo D’Angelo, compagno della sorella Teresa, o di qualsivoglia frizione con altri membri della famiglia. Ha anche affermato di non aver subito alcun sequestro di telefoni cellulari e schede telefoniche dagli agenti del carcere di Terni, in cui è attualmente detenuto e che nella sua ultradecennale reclusione non ha mai fatto uso di dispositivi telefonici illegalmente introdotti. Riguardo le estorsioni, Bidognetti ha chiarito che altri le hanno poste in essere spendendo il suo nome e quello del padre Francesco Bidognetti.

Altro interrogatorio reso dinanzi al gip partenopeo è stato quello di Francesco Cerullo, assistito sempre dall’avvocato Della Gatta, che ha chiarito le dinamiche del racket del caro estinto. Cerullo ha sottolineato la sua estraneità al clan dei Casalesi e che lui non era il collettore dei proventi dei funerali da versare alla ‘famiglia di Cicciotto'. “Sono stato un semplice dipendente dell'IFA non il direttore tecnico del consorzio. Non ho mai creato nessun cartello di imprese come mi viene contestato. Io i funerali li facevo pure a 1200 e non al prezzo fisso di 3000 euro”, ha spiegato Cerullo chiarendo che tale adeguamento del prezzo - o meglio del sottoprezzo - si realizzava per adeguarsi all’imprenditore nel settore delle onoranze funebri estorto che realizzava i funerali a 1500: "Se i funerali erano sottocosto come facevo a dare i soldi al Clan?", ha chiarito l’imprenditore.

L’inchiesta della Dda ha fatto emergere l’operatività delle due fazioni Schiavone e Bidognetti del clan dei Casalesi documentando una pluralità di reati fine. Per quanto riguarda il gruppo Bidognetti è emerso che: sarebbe ancora organizzato grazie ai figli dello storico boss . In particolare, il clan sarebbe stato gestito da Gianluca Nanà Bidognetti, il quale, sebbene detenuto, avrebbe utilizzato telefoni cellulari illegalmente introdotti nella struttura carceraria – e rinvenuti con l’ausilio di personale del Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria, impartendo ordini e direttive funzionali alla direzione della fazione e a promuovere le attività illegali eseguite da sodali liberi, arrivando a organizzare il progetto omicidiario in pregiudizio di Attilio Guida zio di Emilio Martinelli legato storicamente alla fazione degli Schiavone allo scopo di ridimensionare la sua ascesa criminale all’interno del clan. Teresa e Katia figlie dello storico capoclan, in ragione della loro appartenenza alla famiglia, avrebbero invece continuato a percepire stabilmente somme di denaro provento delle diverse attività delittuose.Il gruppo dei Bidognetti eserciterebbe il controllo delle attività delle agenzie di onoranze funebri dell’agro aversano, in virtù di accordi criminali stretti già negli anni ’80, attraverso un “consorzio di imprese”, che è stato sottoposto a sequestro; condurrebbe attività usuraie (con la cessione di somme di denaro in favore di imprenditori e cittadini, che, sebbene in condizioni di forte difficoltà economica, si sarebbero visti applicare tassi d’interesse finanche del 240%); avrebbe avuto la disponibilità di armi attraverso le quali avrebbe espresso la propria forza intimidatrice per assicurarsi il controllo del territorio.

Oltre al reato associativo, a carico di esponenti delle due fazioni sono stati contestati reati fine quali estorsioni in danno di numerosi operatori commerciali (al fine di piegarne la volontà, un imprenditore sarebbe stato attinto alle gambe da colpi d’arma da fuoco), traffico di sostanze stupefacenti e contestuale controllo dell’attività di cessione di droga realizzato da terzi soggetti, che sarebbero stati costretti a versare denaro a esponenti del clan per garantirsi la gestione delle piazze di spaccio.

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