Fatture per ripulire i soldi del clan, in due si professano innocenti
Giuseppe e Raffaele Diana non rispondono alle domande del magistrato ma rendono dichiarazioni
Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere riservandosi di chiedere di essere sentiti all'esito dell'analisi della copiosa documentazione contabile finita nelle mani degli inquirenti. E' stata questa la scelta di Raffaele e Giuseppe Diana, detto Peppe 'o Biondo, ritenuti insieme ad Antonio Esposito, come i gestori di tutte le imprese attive in Toscana attraverso le quali venivano riciclati capitali del clan dei Casalesi.
I due, difesi dall'avvocato Guido Diana, pur non rispondendo formalmente alle domande del magistrato hanno reso spontanee dichiarazioni in cui hanno professato la loro innocenza.
Secondo quanto ricostruito, diverse società, operanti nei settori immobiliari e commerciali, avrebbero reimpiegato i soldi del clan attraverso un complesso giro di fatture, per un giro di affari di svariati milioni di euro. In pratica le imprese davano corso ad una prima serie di fatture per operazioni inesistenti, o parzialmente inesistenti, per dei lavori svolti in subappalto. Dalla seconda linea partivano poi le fatture verso altre società, ritenute 'cartiere', i cui amministratori, meri prestanome, operavano il prelievo dei contanti per operazioni mai rese.