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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Casal di Principe

"E' un terrone, non è affidabile". Ed il boss gli fa trovare una bomba davanti alle vetrine

Il retroscena emerso nel corso del processo ai Casalesi in Veneto

Niente prestiti a tassi usurai, ma se c’era bisogno di utilizzare la violenza per far prevalere le sue ragioni, Luciano Donadio non si tirava indietro. E’ quanto è emerso dalla testimonianza dell’ex braccio destro Christian Sgnaolin, che ha parlato, come riporta il Corriere del Veneto, per un giorno intero mettendo in luce la figura di Luciano Donadio, l’imprenditore dell’agro aversano che si vantava della sua amicizia con Francesco "Sandokan" Schiavone, il boss dei Casalesi, replicandone in territorio veneto i metodi e ricorrendo al suo nome e alla sua fama. Il meccanismo criminale scoperto a Eraclea lo scorso anno viene ricostruito nel corso del processo e una figura chiave come quella dell'ex braccio destro del boss Donadio permette di risalire a episodi significativi rispetto al "modus operandi" del clan. 

"Donadio non era un usuraio, era contrario a certe pratiche e anzi prestava soldi a fondo perduto", ha raccontato Sgnaolin che però ha anche ammesso che "non esitava a ricorrere alla violenza". Un consigliere comunale che aveva sfiduciato l'allora sindaco Graziano Teso si ritrovò con l'auto bruciata mentre la squadra di calcio che non voleva più la ditta come sponsor venne minacciata. E il titolare dell'agenzia Universo di Eraclea Mare che al bar aveva pronunciato la frase "Donadio non è affidabile, è terrone, dei terroni non ci si può fidare" si ritrovò una bomba davanti alle vetrine del locale: il boss, uno che non aveva mai lasciato debiti, si era risentito e non aveva preso bene quella battuta infelice. "Ti faccio vedere io chi sono i Casalesi di Eraclea", disse poi una volta Donadio sparando contro la vetrina di un immobiliare che non voleva pagare. 

Questi erano i metodi dell'imprenditore che servivano per risolvere ogni genere di controversia da Jesolo a Padova, da Portogruaro al Friuli. Spendere il nome del capo serviva, ad esempio a far lavorare di più un dj ma la sua fama arrivava ben oltre. "In ufficio girava una battuta: la polizia li mette dentro, la Donadio costruzioni li tira fuori", ha raccontato Sgnaolin. Bastava che Donadio inventasse un contratto di lavoro e automaticamente si chiedevano i domiciliari: "La fama era tale che, a un certo punto, anche chi non c'entrava con il gruppo provava a usare quei nomi importanti, salvo poi rischiare pesanti ritorsioni".

Donadio, infatti, era solito ripetere: "Questo territorio me lo sono preso con il fuoco e con le fiamme". Non aveva, infatti, avuto timori a spendersi in favori, aiuti, regali: in dieci anni aveva ospitato latitanti, spedito borsoni pieni di armi da fuoco, aiutato i carcerati e le loro famiglie. 

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