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Cronaca Casal di Principe

Parla l'uomo accusato di essere il boss dei Casalesi: "Mi sono solo vantato. Fossi stato serio ci sarebbero stati 50 omicidi"

Il presunto capo della cellula dei Casalesi in Veneto risponde alle domande del pm. Udienza sospesa per le proteste dell'imputato

Solo vanterie. Si è difeso così Luciano Donadio, il presunto boss dei Casalesi della cellula attiva in Veneto, nella zona di Eraclea, nel corso del suo esame al processo sulle infiltrazioni del clan nel Nord Est.

Un esame teso, nervoso, con il presunto boss Donadio che è giunto nell'aula bunker di Venezia di persona, come disposto dal collegio presieduto da Roberto Manduzio in accoglimento ad una sua richiesta. Donadio, arrivato in tribunale, ha chiesto ai reporter di non essere ripreso. Poi il pm Roberto Terzo ha proceduto con l'interrogatorio. Una prima giornata di botte e risposte ostili con Donadio che ha alzato più volte la voce in aula: "Perché mi continuate a fare queste domande", ha tuonato costringendo i giudici a sospendere l'udienza per una decina di minuti.

Poi i temi. primo fra tutti quello di essere ritenuto il capo dei capi della cosca casalese trapiantata ad Eraclea. Donadio ha sostenuto che "l'85% delle cose che dicevo non erano vere", ha sottolineato rispondendo sulle minacce, anche di morte, che sono state intercettate durante le indagini durate circa 20 anni. "Fossero state reali avremmo avuto una cinquantina di omicidi, 300mila persone in ospedale ingessate. Io sono fatto così, mi rapporto così. Mi sono solo un po' vantato", ha detto il boss in aula. Una replica che ha provocato una boutade del pm Terzo che a quel punto ha chiesto se, allora, il Tribunale dovesse fidarsi delle sue parole. Secca la replica di Donadio: "Se fosse stato intercettato lei per 20 anni chissà cosa avremmo sentito. Ora sto dicendo la verità".

Tra le questioni trattate anche quelle sulla droga. "Sono sempre stato contrario allo spaccio di droga", ha asserito Donadio che per i pm della Dda della 'Serenissima' stava allargando i propri orizzonti anche agli stupefacenti. Sui suoi rapporti con un pusher albanese, anche lui a processo, Donadio ha replicato che questi gli doveva circa 30mila euro per un debito di gioco e che per questo aveva contattato un altro spacciatore, non coinvolto nel processo, per far lavorare il suo debitore e rientrare dei soldi, sia pure provenienti da affari illeciti. "Cercavo di mettere accordo tra le persone, non ho mai fatto del male a nessuno", ha sostenuto ancora il presunto boss dei Casalesi. 

Si torna in aula settimana prossima per la prosecuzione dell'esame del pm. Poi Donadio dovrà rispondere alle domande dei difensori. Nel collegio difensivo sono impegnati gli avvocati Giuseppe Brollo, Giuseppe Stellato, Antonio Sforza, Emanuele Fragrasso, Porta, Gentilini, Alberini, Stefania Pattarello.

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