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Cronaca

Il fallimento della banca, funzionario Consob: "Combinazione diabolica ha fatto fallire secondo aumento di capitale"

Massimo D'Agostino sentito come testimone nell'udienza di oggi in tribunale

Gli investitori che avevano deciso di acquistare le azioni della Banca Popolare di Bari sapevano del rischio che correvano. E’ quanto ha esplicitato questa mattina, come riportato dall’Ansa, il funzionario Consob Massimo D'Agostino, sentito come testimone nel processo sulla vecchia gestione dell'ente di credito, svoltosi oggi in Fiera del Levante. Il processo vede come parti civili anche 32 investitori della provincia di Caserta (rappresentati dagli avvocati Daniele Delle Femmine, Massimiliano Di Fuccia e Giuseppe Caiati) che hanno perso tutti i propri soldi nel crac della banca.

D'Agostino ha spiegato che era spiegato, nella seconda pagina di copertina dei prospetti 2014 e 2015, che le azioni non fossero negoziate in alcun mercato regolamentato e quindi "con il rischio di non poterle rivendere mai". Nel processo sono imputati Marco Jacobini e il figlio Gianluca, rispettivamente ex presidente e condirettore generale, accusati di falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza.

Il prezzo delle azioni dell'istituto di credito barese, "è una autodeterminazione della banca, che se la canta e se la suona” ha aggiunto D’Agostino. “Niente di illegale, ma abbiamo chiesto alla banca di esplicitare questo concetto nei prospetti tra i fattori di rischio, come gesto di estrema trasparenza verso l’investitore".

Oggetto dell'audizione del funzionario è stato l'iter delle istruttorie Consob sui due aumenti di capitale del 2014 e del 2015. "La ragione dell'aumento di capitale, con l'offerta di vendita delle azioni scontate del 6% rispetto al loro valore di 9,53 euro - ha spiegato - era legata al salvataggio di banca Tercas. Il primo aumento di capitale del 2014 da 500 milioni di euro si era chiuso con successo, mentre quello di 50 milioni del 2015, per una combinazione diabolica di eventi pazzesca, dovuta all'indagine della Commissione europea che ipotizzava l'operazione Tercas come aiuti illeciti di Stato, diventò un incubo”.

In quella fase, sollecitato dalla Consob, Marco Jacobini continuava a "ribadire che non c'erano perdite all'orizzonte".

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