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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Casal di Principe

Confermata la confisca al fratello di Cicciariello

La Cassazione ha respinto il ricorso di Paolo Saverio Schiavone: "Soldi del clan investiti nelle sue attività"

I soldi del clan venivano reimpiegati nelle attività agricole del fratello di Francesco Schiavone "Cicciariello". E' questa la motivazione della Corte di Cassazione che ha confermato la confisca di beni di Paolo Saverio Schiavone, imprenditore di 64 anni di Casal di Principe. 

Schiavone si era rivolto alla Suprema Corte per la revoca del provvedimento di confisca, disposto dalla Corte d'Assise d'Appello di Napoli, per la sua pericolosità. I giudici del secondo grado di giudizio ne avevano, però, riqualificato la condotta da associazione mafiosa a favoreggiamento reale revocando il sequestro dei beni ed ordinandone la confisca. Ad avviso di Schiavone, però, la sua situazione reddituale era "adeguata a dimostrare la liceità dei redditi con i quali sono stati acquistati i beni confiscati" e pertanto ha chiesto la revoca della confisca. 

L'istanza non è stata accolta gli Ermellini che hanno confermato in pieno il provvedimento rigettando il ricorso. Secondo la Prima sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta dal giudice Giulio Sarno, "i giudici di merito hanno ritenuto comunque provato che lo Schiavone abbia utilizzato la schermatura della qualità di imprenditore agricolo, per reinvestire illeciti guadagni del clan camorristico, al quale era comunque contiguo e ciò ha desunto dagli stessi elementi valutati dal giudice della prevenzione per pervenire al convincimento che il predetto dalla fine degli anni '80 avesse affiancato alla sua attività lavorativa una cointeressenza con il sodalizio - si  legge nella sentenza - Ha rimarcato la Corte di appello che all'epoca in cui risale l'acquisizione dei beni confiscati, Schiavone era certamente portatore di pericolosità sociale qualificata, perché nella materia della prevenzione il concetto di appartenenza all'associazione di stampo camorristico è più ampio e meno rigoroso di quello penalistico della partecipazione. D'altronde, la Corte di Assise di appello non ha smentito gli elementi di fatto che erano stati considerati dal giudice delle prevenzione sulla contiguità delle attività economiche di Schiavone agli interessi economici del clan camorristico, sulla sperequazione del valore degli stessi beni rispetto ai redditi leciti percepiti, né sulla valutazione di pericolosità, per i suoi rapporti col sodalizio criminale". Una motivazione ritenuta "coerente dalla Cassazione.

Per questo il ricorso è stato dichiarato inammissibile il ricorso di Schiavone e lo ha condannato al pagamento di 2000 euro in favore della Cassa delle Ammende.

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