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Cronaca Marcianise

Sentenza definitiva per figlio e fratello del boss Belforte

La Cassazione respinge i ricorsi per Salvatore e Benito

La Corte di Cassazione ha respinto i ricorsi presentati da Benito Belforte, 48 anni, di Marcianise, e Salvatore Belforte, 35 anni, anche lui di Marcianise, rispettivamente fratello e figlio del capoclan  Domenico Belforte. I due erano stati condannati a gennaio 2019 a pene di 2 anni ed 8 mesi ed 8 anni di carcere dalla Corte d’Appello di Napoli per le estorsioni ai danni di un’azienda ed una ditta funebre di Marcianise.

Nelle motivazioni degli ermellini, con le quali vengono respinti i ricorsi, si spiega: “La sentenza di primo grado ha ampiamente chiarito che la richiesta estorsiva che aveva come mandante Salvatore Belforte, era stata veicolata, proprio dallo zio Benito, materiale esecutore della richiesta. Benito Belforte viene indicato, dal primo giudice, come emissario della famiglia "retta", in quel momento storico, dal nipote Salvatore, stante l'applicazione di misura cautelare ai danni della madre Maria Buttone, oltre al regime di detenzione di cui all'art. 41-bis OP, in atto nei confronti del capo clan Domenico Belforte. Il provvedimento, poi, evidenzia con motivazione chiara e logica, la diretta confluenza dei proventi dell'attività nella gestione contabile del sodalizio così, evidentemente, affermando la sussistenza della condotta di agevolazione dell'associazione di stampo camorristico e degli interessi economici del can, attraverso la materiale esecuzione dell'attività illecita”.

E neanche è valso il tentativo dei legali di far passare la richiesta al titolare della ditta funebre come una richiesta di “un regalo, nell'interesse esclusivo del nipote Salvatore, senza evocare contesti camorristici per ottenerlo in favore della figlia del predetto, poiché Salvatore, all'epoca, versava in gravi condizioni economiche”. Inoltre l’avvocato ha provato a dimostrare che il clan con a capo Salvatore Belforte sarebbe durato appena 8 mesi, mentre in realtà per i giudici della Cassazione, richiamando la sentenza d’Appello, tendono “a retrodatare al 2014 la prova della partecipazione. Ampia e logica è, poi, l'indicazione delle ragioni per le quali, nel confronti di Domenico Belforte, nell'ambito del presente processo, non sono elevate imputazioni. Non si sottrae, poi, la Corte territoriale a censure, di identico contenuto già presenti nei motivi di appello, relative alla composizione del gruppo, secondo la contestazione, dando risalto alla nuova consistenza del can, rispetto alla sua originaria formazione, a fronte delle numerose collaborazioni con la giustizia da parte di diversi esponenti del gruppo”. Sulla scorta di queste motivazioni, la Cassazione ha deciso di respingere i ricorsi e condannare entrambi al pagamento delle spese.

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