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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca Bellona

Minaccia la nipote con una falce: condannata

I giudici hanno riconosciuto la pericolosità sociale e la vocazione alla violenza

Riconosciuta ancora la pericolosità sociale e la vocazione alla violenza: la Corte di Appello conferma la sentenza di condanna in primo grado a 2 anni e 6 mesi di reclusione per Agnese Di Giovanniantonio, 68enne di Bellona, persecutrice seriale e responsabile di un omicidio avvenuto negli anni '80.

E' quanto stabilito dalla Seconda Sezione Penale della Corte di Appello di Napoli, presieduta dal giudice Maria Francica (con a latere Carmela Iorio e Corinna Forte) che ha confermato la sentenza emessa dal gup del tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 24 giugno 2021 nei confronti di Di Giovanniantonio condannandola per violenza aggravata e minacce ai danni dei familiari.

La donna venne tratta in arresto il primo febbraio 2021 dai carabinieri della compagnia di Capua mentre proferiva minacce di morte verso la nipote ed il marito della donna (rappresentati dagli avvocati Andrea Di Dario e Maria Celeste Cafaro) brandendo una falce estratta dal carrello portaspesa; il tutto si compiva dinanzi al figlio minore della donna. Il motivo di tanta acredine derivava dalla convinzione che l'assistenza prestata dalla nipote nei confronti del proprio padre fosse a scopo di lucro: secondo l’aggressore, la nipote aveva creato questo escamotage per intascare i soldi della pensione del congiunto. Una vera e propria ossessione che portò Di Giovanniantonio ad appostarsi sotto casa della nipote e del padre dove si consumavano gli atti persecutori (oltre che tra le mura domestiche).

Il leit-motiv della vita della 68enne, sottoposta ora alla misura del divieto di avvicinamento, è stato quello della violenza. A soli 26 anni, il 30 maggio 1980, sgozzò con un coltello a doppia lama in uso ai calzolai, nel piazzale antistante l'ospedale Palasciano di Capua, il primario del reparto di chirurgia Dario Russo mentre era a bordo della sua Fiat 132. Nonostante la lunga detenzione per l'efferato delitto, il carcere non fu rieducativo: el 2014 si rese responsabile di atti persecutori e violenza nei confronti di un vicino reo di non ricambiare il suo amore. Una instabilità latente che ha portato i giudici partenopei alla conferma della sentenza di condanna in primo grado.

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