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Cronaca Casal di Principe

Lo scagnozzo del boss punta al trasporto dei turisti: "Non è bene rubare il lavoro agli altri"

Veizi picchiato e minacciato per il business del Tronchetto: "Non ti far più vedere se non vuoi finire a fare compagnia ai pesci"

"Non è bene rubare il lavoro di altri". Lo avrebbe detto il boss dei Casalesi di Eraclea Luciano Donadio al suo scagnozzo, l'albanese Renato Veizi, che voleva introdursi nei trasporti turistici al Tronchetto, una zona di Venezia monopolizzata da quella che è stata definita la nuova mala del Tronchetto. 

Lì non c'era spazio per altri aspiranti trasportatori anche vicini al clan dei Casalesi. Secondo quanto riferito da Veizi nel corso del processo all'aula bunker, nel 2009 avrebbe lavorato per un imprenditore belga nel servizio del trasporto dei turisti. Un servizio conveniente, visti i pressi stracciati offerti. Ma qualcuno gli avrebbe dichiarato guerra. 

Veizi dice che "quelli del Trochetto" gli fissarono un appuntamento. Donadio gli consigliò di non andarci. Di non andare in un luogo isolato. Veizi - accusato di aver bruciato imbarcazioni in un cantiere nautico - ci va e li affronta. "Mi hanno tirato una pizza", ha confermato ai giudici. Nel corso dell'incontro qualcuno gli avrebbe detto di stare lontano dal Tronchetto se non voleva finire "a fare compagnia ai pesci". 

Nel corso del suo esame Veizi ha negato gli addebiti mossi dalla Procura - che gli contesta di essere il braccio operativo di Donadio. Ha detto di non essersi mai occupato di stupefacenti e di sfruttamento della prostituzione. Tra tanti non ricordo Veizi ha anche riferito di non aver mai bruciato barche. Si torna in aula la prossima settimana. Nel collegio difensivo sono impegnati tra gli altri, gli avvocati Giuseppe Brollo, Giuseppe Stellato, Antonio Forza, Calò, Franceco Petrelli, Stefania Pattarello, Simone Boscolo, Gentilini e Fragasso. 

Il processo vede alla sbarra una quarantina di imputati tra cui Luciano Donadio, considerato il boss di Eraclea, Raffaele ed Antonio Buonanno di San Cipriano d'Aversa ed Antonio Pacifico, di Casal di Principe. Secondo quanto emerso dalle indagini il gruppo, guidato da  Donadio e Raffaele Buonanno, si era insediato nel Veneto dagli anni '90 andando a rilevare le attività che erano sotto l'egemonia della Mala del Brenta. In questo modo il gruppo legato al clan dei Casalesi, fazione Bidognetti, era riuscito a conquistare il controllo del tessuto economico veneto, dall'edilizia alla ristorazione, oltre ad imporre un "aggio" per il narcotraffico e lo sfruttamento della prostituzione. L'organizzazione criminale, dedita all'usura ed all'estorsione, avrebbe destinato, secondo gli inquirenti della Dda, parte dei proventi illeciti per sostenere i carcerati di alcune famiglie storiche del sodalizio Casalese.

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