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Cronaca Casal di Principe

Casalesi in Veneto: 47 rinviati a giudizio, rito abbreviato per 25

La maxi inchiesta sulle infiltrazioni del clan nel Nord-Est: i capi scelgono la strada del dibattimento

Quarantasette rinvii a giudizio, 25 ammessi al rito abbreviato, due patteggiamenti ed una posizione stralciata per incapacità a stare in giudizio. Sono numeri da maxi processo quelli dell'udienza preliminare a carico di 75 persone, di cui 37 accusate di associazione a delinquere di stampo mafioso, coinvolte nella maxi inchiesta sulle infiltrazioni del clan dei Casalesi in Veneto

Stamattina, dinanzi al gup Andrea Battisturzi all'aula bunker del tribunale di Venezia, si è conclusa la prima fase giudiziaria con il processo che si divide, quindi, in due tronconi. Quello dell'abbreviato con 25 imputati - tra cui il collaboratore di giustizia Christian Sgnaolin, Vincenzo Vaccaro, Girolamo Arena Nunzio Confuorto - che dovranno presentarsi dinanzi ad un nuovo gup nell'udienza fissata alla fine di febbraio. A dibattimento, invece, andranno ben 47 imputati tra cui Luciano Donadio, originario dell'agro aversano e residente ad Eraclea, Raffaele ed Antonio Buonanno di San Cipriano D'Aversa, Antonio Pacifico, di Casal di Principe. 

Il giudice ha dichiarato prescritto un capo d'imputazione "minore" relativo alle armi in uso al gruppo e dichiarato l'incapacità a stare in giudizio per Graziano Poles. Nell'inchiesta venne coinvolto anche il sindaco di Eraclea Mirco Mestre che non ha affrontato l'udienza preliminare optando per il giudizio immediato e l'apertura diretta del dibattimento. Nel collegio difensivo sono impegnati, tra gli altri, gli avvocati Mirella Baldascino, Gennaro Caracciolo, Giuseppe Brollo, Giuseppe Stellato, Alfonso Quarto, Carlo De Stavola, Ferdinando Letizia, Elena Schiavone, Ciro Balbo.

Secondo quanto emerso dalle indagini il gruppo, guidato da  Donadio e Raffaele Buonanno, si era insediato nel Veneto dagli anni '90 andando a rilevare le attività che erano sotto l'egemonia della Mala del Brenta. In questo modo il gruppo legato al clan dei Casalesi, fazione Bidognetti, era riuscito a conquistare il controllo del tessuto economico veneto, dall'edilizia alla ristorazione, oltre ad imporre un "aggio" per il narcotraffico e lo sfruttamento della prostituzione. 

L'organizzazione criminale, dedita all'usura ed all'estorsione, avrebbe destinato, secondo gli inquirenti della Dda, parte dei proventi illeciti per sostenere i carcerati di alcune famiglie storiche del sodalizio Casalese. 

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