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Cronaca Casapesenna

Svolta per la casa dove fu stanato il latitante Zagaria

L'immobile asservito al bunker dove era nascosto il capo clan dei Casalesi torna nelle disponibilità delle 'locatrici'

L'immobile asservito al bunker dove era nascosto il capo clan dei Casalesi Michele Zagaria torna nelle disponibilità delle 'locatrici'. È stata questa la decisione del giudice dell'esecuzione del Tribunale di Napoli, Luca Battinieri che ha accolto l'opposizione presentata dall'avvocato Ferdinando Letizia avverso l'ordinanza del marzo 2020 con cui venne respinta l'istanza di restituzione del bene confiscato sito in via De Gasperi 6 a Casapesenna.

Tale immobile venne confiscato il 12 aprile 2012 in via definitiva nell'ambito del procedimento penale a carico di Vincenzo Inquieto, il vivandiere, condannato quale favoreggiatore della latitanza del boss Michele Zagaria, tratto in arresto insieme al capoclan latitante il 7 dicembre 2011. Vincenzo Inquieto ha offerto rifugio al latitante Michele Zagaria ospitandolo all'interno di un sofisticato bunker a scomparsa ricavato nel sotterraneo della sua abitazione sita a Casapesenna in via Mascagni 9. Tale locale, attraverso un impianto elettrico di videosorveglianza, era collegato da un lato con l'appartamento sovrastante, dove Inquieto viveva assieme alla sua famiglia, e dall'altro con un ulteriore immobile sito in via De Gasperi 6 che il vivandiere aveva adibito ad ufficio della sua ditta di termoidraulica.

In particolare con la mansarda dove era installata una piccola telecamera, che risultò poi essere il terminale dell'impianto di videosorveglianza collegato con dei cavi elettrici collocati in un tubo di plastica corrente lungo una parete che si instradavano nel sottosuolo al bunker dove si nascondeva il boss Zagaria. Marchingegno utilizzato da Vincenzo Inquieto per tenersi in contatto col boss anche quando si trovava nel suo ufficio di via De Gasperi 6.

Nella sentenza di condanna per favoreggiamento aggravato dalla metodologia mafiosa a carico del vivandiere di Zagaria, il gip partenopeo ordinò la confisca non solo delle attrezzature telematiche, ma anche di quant'altro caduto in sequestro (quindi i due immobili contigui) in quanto beni utilizzabili per commettere il reato. Dal momento che i due immobili erano stati sequestrati nel corso delle indagini che portarono alla cattura del latitante e del vivandiere, la misura di sicurezza colpì automaticamente entrambi.

Presentata istanza di restituzione del bene confiscato venne respinta, poiché il giudice di esecuzione partenopeo contestava la buona fede delle due 'locatrici', A. N. e R. Z. congiunte del capoclan Zagaria. Secondo il giudice erano due gli elementi che ritennero indimostrata la buona fede delle due donne. I cavi dell'impianto di videosorveglianza che collegava il bunker sottostante l'abitazione della famiglia Inquieto di via Mascagni (dove era clandestinamente ospitato Michele Zagaria) con l'immobile di via De Gasperi 6 adibito ufficialmente a ufficio di Inquieto erano visibili dalla strada, motivo per cui ad avviso del giudice difficilmente le due ricorrenti non avrebbero potuto ravvedersene. Trattandosi poi di un'opera comportante una modifica strutturale, non avrebbe potuto esser realizzata se con l'autorizzazione delle proprietarie. Confutati dalla difesa i due elementi ostativi della restituzione del bene confiscato, il giudice di esecuzione ne ha disposto la restituzione alle aventi diritto dopo dieci anni.

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