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Cronaca Santa Maria Capua Vetere

Muore in carcere dopo le torture: 13 indagati per omicidio colposo

Dal Provveditore agli agenti penitenziari: la Procura insiste con l’accusa

Dopo le torture subite in carcere ha trovato la morte in una cella d’isolamento dove era stato posto “illegittimamente ed iniquamente”. E’ il capo d’accusa che la Procura della Repubblica ha rivolto nei confronti di 13 persone per la morte di Lamine Hakimi, il detenuto trovato morto il  maggio 2020 in una cella della struttura detentiva casertana, poco meno di un mese dopo la tortura subita insieme ad altri 170 detenuti da parte degli agenti della polizia penitenziaria (120 sono indagati dalla Procura).

La contestazione dei magistrati dell’omicidio colposo ha riguardato non solo coloro che, materialmente, hanno posto il detenuto in isolamento, ma anche chi ha cercato, di fatto, di coprire un’azione che non doveva posta in essere. Ci sono, tra gli altri, l’ormai ex provveditore regionale della Campania Antonio Fullone, il vice direttore del carcere Arturo Rubino ed il comandante dirigente della polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere.

Secondo l’accusa l’applicazione del regime di isolamento fu applicata il 6 aprile 2020 ma senza alcun tipo di provvedimento e si tentò di “occultarla” per almeno 48 ore “rendendo comunque incomprensibile ad Hakimi la data di cessazione della sanzione”. Che sarebbe dovuta durare 15 giorni ma che in realtà si protrarrà fino alla sua morte. Giunta, secondo il responso dell’autopsia, per un arresto cardio-respiratorio causato dall’assunzione di droga in aggiunta a farmaci che già prendeva. Il tutto senza mai essere, secondo l’accusa, controllato (neanche da un medico) e seppur fosse stato sconsigliato, per lui, l’isolamento essendo un “soggetto a rischio”.

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