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Cronaca Mondragone

Le lavoratrici sfruttate sfilano in aula nel processo ai 'caporali'

Le due donne confermano insulti ma "non ci hanno mai picchiate". Svelato il sistema per il reclutamento

Non ci sono state violenze fisiche, potevano fermarsi se stanchi, mangiare con una pausa che poteva durare anche 15 minuti. Potevano lasciare i campi se impiegati dal mattino e ritornare nel pomeriggio. Non c'era un "obbligo di risultato da raggiungere". Non c'era un controllo ferreo anche se in qualche occasione alcuni di loro venivano redarguiti a muso duro tra insulti e parolacce.

È lo scenario che si è delineato grazie alle dichiarazioni rese da alcuni degli 'sfruttati' nel corso dell'udienza celebrata dinanzi la Terza Sezione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in composizione collegiale con Francesco Rugarli come presidente e con a latere i giudici Giorgio Pacelli e Massimo Cosenza, nel processo sul caporalato mondragonese dove sul banco degli imputati sono finiti Gennaro Bianchino, i fratelli Pasquale e Vincenzo Miraglia e Francesco Pagliaro con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento del lavoro e dell'intermediazione illecita di manodopera.

Due delle 'sfruttate', escusse dal Sostituto Procuratore Mariangela Condello, hanno chiarito cosa accadesse sui campi e come venivano reclutate. "Non sono mai stata picchiata, mi urlavano addosso e mi hanno chiamato puttana ma le mani addosso non me le hanno mai messe" ha spiegato al Tribunale una lavoratrice polacca chiarendo il sistema di reclutamento e retribuzione "ci venivano a prendere sotto i Palazzi Cirio con il furgone ed alla guida c'erano Franco Pagliaro o Pasquale Miraglia che poi si fermavano nei campi anche loro a lavorare e ci portavano nei campi. Lavoravamo per 7 ore al giorno a volte anche di sabato e di domenica: la mattina dalle 7 alle 13 per 30 euro e dalle 15 alle 18 il pomeriggio per 20 euro. Potevamo pure andare a casa se lavoravamo di mattina e ci venivano a riprendere sempre lì ai Palazzi Cirio e ci riportavano il pomeriggio nei campi".

"Non è che dovevamo per forza fare un tot quello che riuscivamo", ha spiegato al pm una lavoratrice ucraina in merito al quantitativo di prodotti ortofrutticoli da raccogliere chiarendo anche la questione del pasto e dei servizi igienici: "potevamo fermarci per mangiare pure 15 minuti e sui terreni c'erano i bagni e se non c'erano o andavamo ad un bar se era vicino o sotto un albero più appartato".

Per la  Procura di Santa Maria Capua Vetere che coordinò le indagini condotte  congiuntamente dai finanzieri della compagnia di Mondragone e dai carabinieri del locale Reparto Territoriale gli imputati avevano creato una stabile organizzazione attraverso la quale assumevano manodopera reclutata mediante l'attività di intermediazione illecita svolta dai caporali a cui si rivolgevano donne perlopiù dell'Est Europa ma anche lavoratori africani per esser impiegati nei campi dei comuni di Mondragone, Falciano del Massico, Villa Literno, Grazzanise, Carinola. Il reclutamento degli sfruttati era assicurato dalla fidelizzazione dei caporali che li raccattavano in punti strategici della città mondragonesi e comuni limitrofi per esser poi dislocati nei campi. Secondo le ricostruzioni degli inquirenti venivano impiegati anche 11 ore al giorno per una paga media giornaliera di 4,50 euro anche 7 giorni su 7. Una volta all'opera venivano severamente controllati, malmenati all'occorrenza senza assumere la posizione eretta se non per pranzo con obblighi di risultato da raggiungere ovvero sia riempire i furgoni con i quali venivano trasportati tra le cassette di frutta e verdura raccolti. Non veniva data loro la possibilità di utilizzare servizi igienici poiché assenti.

Una ricostruzione della Procura sammaritana che non ha trovato riscontro nelle dichiarazioni delle due sfruttate in aula le cui testimonianze erano piene di incongruenze tra il dichiarato odierno e quello all'epoca dell'attività di indagine iniziata nel 2018. Disvelate le correlazioni tra i vari imputati in particolar modo tra Bianchino ed i fratelli Miraglia grazie alle dichiarazioni rese dall'ufficiale delle fiamme gialle che condusse l'indagine. Il finanziere ha infatti chiarito che quanto emerso dal materiale captato, i riscontri tecnici e gli accertamenti patrimoniali ha consentito di individuare i ruoli nella associazione di intermediazione illecita con a capo Gennaro Bianchino. Tutto era riconducibile all'ex rappresentante legale dello Sviluppo Agricolo Bianchino srl anche le fatture concernenti la vendita di prodotti agricoli da parte dei fratelli Miraglia individuati come titolari di imprese agricole che nella realtà non erano grazie alle quali le fiamme gialle hanno riscontrato l'impiego occulto per finanziare i caporali per poi assumere i lavoratori in nero. Un business illecito pari a circa 2 milioni di euro. Si torna in aula verso la fine del mese di novembre per l'esame degli imputati. Nella difesa sono impegnati gli avvocati Angelo Raucci e Giovanni Lavanga.

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