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Cronaca Marcianise

Duemila euro per il silenzio del boss Belforte

La richiesta del genero del capoclan Alberico all'agenzia di pompe funebri: "Se non pagate parla di voi"

Duemila euro. Era questo il prezzo del silenzio del boss Salvatore Belforte, ex collaboratore di giustizia, che i titolari dell'impresa di pompe funebri Cerreto di Marcianise avrebbero dovuto versare al genero del capoclan Giuseppe Alberico, arrestato lo scorso mese di febbraio.

E' quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione che ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso presentato da Alberico (è stato lo stesso indagato a ritirarlo) che aveva chiesto di rivalutare le esigenze cautelari a suo carico, con il Riesame che aveva disposto gli arresti domiciliari per il 38enne, marito di Gelsomina Belforte.

E sono stati i giudici della Cassazione a rivelare la genesi dell'inchiesta ed il particolare modus operandi di Alberico. Secondo l'accusa, l'imputato, legato al clan "Belforte", aveva costretto Angelo Cerreto, socio dell'impresa di pompe funebri Cerreto Felice & Raffaele s.r.I., a versargli la somma d 2000 euro, agendo in concorso con altri soggetti legati allo stesso clan.

In estrema sintesi, "l'estorsione - si legge nel dispositivo della Suprema Corte - era stata consumata attraverso un'articolata strategia di approccio alla vittima, intimidita con lo spauracchio delle prossime rivelazioni del suocero dell'indagato, il capo clan Belforte Salvatore, divenuto collaboratore di giustizia, che, come era stato fatto intendere alla persona offesa, avrebbe potuto coinvolgere nelle sue dichiarazioni esponenti della famiglia Cerreto, minaccia ribadita in occasione di un incontro tra Cerreto Angelo e Alberico Giuseppe alla presenza di altri soggetti, nel corso del quale erano state rivolte alla vittima esplicite richieste di denaro".

Il Tribunale disponendo i domiciliari aveva rilevato, inoltre, "la particolare spregiudicatezza dell'Alberico nella gestione della vicenda processuale, condotta con una sapiente regia; cita le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia che indicherebbero l'indagato come attivo in pratiche usurarie e coinvolto nella riscossione del provento di attività estorsive riferibili al clan Belforte; ritiene, tuttavia, le indicazioni di pericolosità sociale dell'Alberico, desumibili da tali circostanze, attenuate, anche se non radicalmente contraddette, dalla sostanziale incensuratezza dell'indagato e dalla datazione dei fatti, risalenti al 2016".

Con l'inammissibilità del ricorso Alberico è stato condannato al pagamento di 2mila euro in favore della Cassa delle Ammende.

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