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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Camorra, il boss di Caserta resta al carcere duro

La Cassazione conferma l’impianto del tribunale di sorveglianza

Il boss di Caserta Antonio Della Ventura resta al carcere duro. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dall’avvocato che aveva impugnato il provvedimento di proroga nei confronti del 56enne affiliato al clan Belforte. Il Tribunale di sorveglianza aveva confermato “la capacità dell'interessato di mantenere contatti con un'organizzazione criminale esterna” che si aggiungevano al curriculum del boss: Della Ventura, alias "O Coniglio", più volte condannato per associazione mafiosa e per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e per omicidi (tentati e consumati) con l'aggravante dell’articolo 7, risulta “essere elemento di rilievo del clan camorristico Belforte, operante nel casertano nei settori delle estorsioni, dell'usura e degli stupefacenti e di cui, per un lungo periodo, durante la detenzione dei leader storici e dei personaggi di maggior peso è stato il capo, come confermato dalla sentenza del 22/06/2015 della Corte di appello di Napoli, esecutiva il 10/06/2016, di condanna del suddetto per partecipazione associativa fino al luglio 2013 in qualità dì "luogotenente" di detto clan che dal carcere impartiva direttive per l'attività della consorteria anche durante il regime differenziato ricevendo dal clan uno stipendio mensile consegnato alla moglie”. Ed inoltre si aggiungeva che “il suo gruppo di appartenenza è ancora attivo sul territorio e non è venuta meno la potenzialità operativa di esso, come dimostrano le operazioni di polizia poste in essere sino al maggio 2018 che hanno interessato gli appartenenti a tale consorteria, illustrate dall'informativa della DIA del 22 giugno 18”. A ciò vanno aggiunti “gli esiti dell'osservazione inframuraria, risultando la condotta detentiva costellata da numerose infrazioni, a riprova dell'assenza di una chiara manifestazione di resipiscenza”. 

L’avvocato di Della Ventura aveva sottolineato, nel ricorso agli ermellini, che “le sentenze da cui viene evinta la pericolosità di Della Ventura riguardano fatti risalenti; l'ordinanza non si confronta con la non attualità della pericolosità, dovuta al fatto che nel tempo vi è stata la collaborazione dei capi e la dissociazione dalla consorteria anche di altri componenti, tra cui il Della Ventura che in un ultimo processo ha ottenuto il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche proprio per l'ammissione degli addebiti; l'ordinanza non considera la non provata sussistenza di contatti tra Della Ventura e i propri familiari e tra lo stesso e soggetti che orbitano attorno al clan Belforte e pone in essere una presunzione di pericolosità non condivisibile”.

Per la Settima Sezione della Cassazione, però, non ci sono le basi per rivedere il provvedimento: “Il ricorso - si legge nelle motivazioni - si limita a contestare le argomentazioni del provvedimento impugnato, individuando in modo assolutamente generico e non autosufficiente talune omissioni inesistenti, e tendendo in realtà a provocare una nuova - e non consentita - valutazione del merito delle circostanze di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità. Il Tribunale di sorveglianza di Roma, invero, ha correttamente valutato gli elementi risultanti dagli atti, soffermandosi sulle circostanze riportate in punto di fatto e argomentando dalle stesse, con motivazione congrua, adeguata e priva di erronea applicazione della legge penale e processuale, la sussistenza dei presupposti legittimanti la proroga del regime penitenziario differenziato”. 

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