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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca San Cipriano d'Aversa

I soldi dei Casalesi nel petrolio: 37 arresti. “I soci assoldarono killer per uccidere Diana”

Maxi operazione di carabinieri e Finanza: svelato business milionario del contrabbando di idrocarburi

Oltre cento indagati, 37 arrestati (di cui 11 finiti ai domiciliari), 6 destinatari di divieto di dimora e due militari sospesi per sei mesi. E' il risultato della maxi operazione scattata dalle prime ore di questa mattina nelle province di Caserta, Napoli, Avellino, Salerno, Cosenza e Taranto, che ha visto impegnati oltre 410 uomini tra carabinieri e guardia di finanza, su delega delle Dda di Potenza e Lecce, per un'indagine nei confronti di persone indiziate di associazione mafiosa, associazione a delinquere finalizzata alla commissione di frodi in materia di accise ed Iva sugli oli minerali, intestazione fittizia di beni e società, riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro di provenienza illecita. Oltre alle 45 misure cautelari personali, sono stati eseguiti anche sequestri di immobili, aziende, depositi e flotte di auto-articolati.

Le indagini

Le indagini hanno fatto emergere distinte ma collegate organizzazioni criminali operanti nei distretti di Lecce e Potenza e segnatamente nel Vallo di Diano, quindi nel basso salernitano, nonché nella provincia di Taranto, ruotanti, tutte (talora in modo collegato ed in alleanza, talora in modo conflittuale) intorno ad importanti famiglie mafiose, riconducibili al clan dei Casalesi ed ai clan mafiosi tarantini, il cui core business era rappresentato da un contrabbando di idrocarburi che ha cagionato allo Stato danni economici per decine di milioni di euro, a cui ha corrisposto un eguale guadagno per tali sodalizi.

I soldi dei Casalesi nel petrolio

Sul versante lucano l’indagine partiva da una delega alla polizia giudiziaria (in una fase iniziale i carabinieri della Compagnia di Sala Consilina e del Nucleo Investigativo di Salerno, poi anche la guardia di finanza di Salerno) di procedere ad un’analisi ad ampio spettro sul territorio del basso salernitano (che solo negli ultimi anni è passato alla competenza della Dda di Potenza) allo scopo di individuare operatori commerciali prestatisi come terminale occulto per il reinvestimento di capitali illeciti da parte di sodalizi criminali esogeni. L’attenzione veniva subito concentrata sulla posizione della società Carburanti Petrullo S.r.l. di San Rufo (SA) e più in generale sulle società di carburanti del Gruppo Petrullo, le quali, per la dinamica delle loro dimensioni, struttura, relazioni e comportamenti “spia”, palesavano una serie di profili di incongruità, quali l’inspiegabile aumento esponenziale dei fatturati e degli investimenti nel giro di pochi anni. Emergeva così dalle indagini che il rilevantissimo boom economico della ditta Petrullo coincideva con l’ingresso nelle compagni societarie del Petrullo, quali soci e gestori di fatto, dei componenti della nota famiglia di San Cipriano d’Aversa dei Diana, i cui componenti avevano investito nell’impresa, in forma occulta, capitali provenienti con ragionevole certezza e comunque a livello di gravità Indiziarla da pregresse attività illecite, specie nel settore del traffico di rifiuti, attività di rilevantissime dimensioni (cosiddetta “Operazione Re Mida”) in relazione alle quali era stata contestata, a suo tempo, dalla Procura di Napoli, a Raffaele Diana, l’aggravante della finalità agevolatrice del clan dei Casalesi. Dall’inizio del 2019, sono state quindi eseguite, sia dalla Dda di Potenza che da quella di Taranto e dalle rispettive polizia giudiziari, mixate attività tecniche (oltre alle classiche intercettazioni telefoniche, è stato anche fatto ricorso a captatoti informatici, dispositivi gps e microfoni ambientali) che, nel corso dei complessivi 14 mesi dell’inchiesta supportata dalle attività svolte Nucleo di Polizia Economica Finanziaria della Guardia di Finanza di Salerno che, sulla base di autonomi input info-investigativi, aveva avviato (alla fine del 2017) una verifica fiscale ai fini delle accise e dell’Iva nei confronti delle società del Petrullo, al fine di appurare potenziali condotte evasive poste in essere nella compravendita di prodotti petroliferi, che ha portato la Dda di Potenza a contestare ai componenti del gruppo economico criminale facente capo a Petrullo ed ai Diana oltre che i numerosissimi reati di contrabbando, frodi all’Iva, estorsioni e truffe, anche il delitto di associazione a delinquere aggravata dalla finalità di agevolare il clan dei Casalesi, attraverso la penetrazione in un nuovo territorio ancora immune da tale fenomeno (quello del Vallo di Diano) di una imprenditoria criminale apripista del sodalizio mafioso.

I capitali reinvestiti per acquisire beni immobili e quote societarie

Fin dai primissimi riscontri, è stato accertato che la società, attiva nel mercato del commercio di prodotti energetici, era in concreto divenuta il canale privilegiato attraverso il quale la famiglia Diana si era infiltrata nel tessuto economico-sociale del Vallo di Diano, stringendo a questo scopo un pactum sceleris con Massimo Petrullo, titolare dell’omonima società di carburanti ed avamposto dei Casalesi in quel territorio e con altri esponenti dell’imprenditoria locale. In ragione della complessità della materia sotto il profilo fiscale, è stato affidato al Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Salerno e Taranto il primario compito di quantificare e certificare l’illecito profitto ottenuto dal sodalizio attraverso la sistematica evasione di accise ed Iva, affiancando gli investigatori dell’Arma nella ricostruzione delle diverse fasi dell’articolata frode. Alla luce degli elementi indiziari raccolti durante le indagini tecniche e l’analisi delle segnalazioni per operazioni sospette, nonché delle risultanze delle attività amministrative svolte dai finanzieri salernitani, il contesto investigativo è stato esteso a partire almeno dal 2015, anno in cui sono stati rilevati i primi contatti tra Raffaele Diana e Massimo Petrullo ed i rapporti commerciali tra questi ed aziende del casertano (area, peraltro, sotto l’influenza anche della stessa famiglia Diana) e poi quelli stabili con le aziende riferibili al clan mafioso tarantino. I capitali così illecitamente acquisiti venivano successivamente reimpiegati, tra l’altro, nell’acquisizione di beni immobili e quote societarie, realizzando un’economia illecita “circolare”, che ha permesso alla famiglia Diana di affermarsi gradualmente quale player commerciale di riferimento nella compravendita illegale di idrocarburi nel Vallo di Diano, alterando pertanto le dinamiche del libero mercato e della concorrenza.

I soci assoldarono killer per uccidere Diana

Tra i due gruppi, quello campano/lucano e quello tarantino, nondimeno, dopo una stretta e proficua collaborazione, sono via via sorte forti fibrillazioni, soprattutto legate al fatto che Petrullo, resosi conto di aver quasi completamente perso la concreta gestione della propria società (ormai di fatto in mano ai Diana), aveva tentato di accordarsi in segreto con i tarantini. Tali attriti (era stato perfino assoldato un killer per uccidere Raffaele Diana, tentativo poi abbandonato) non sfociati in una vera e propria “guerra” solo in ragione del mutuo interesse a non sollevare eccessivi allarmi sulle attività illecite perpetrate, estremamente lucrose per entrambe le parti. Varie, del resto, le ulteriori condotte illecite accertate al termine delle investigazioni (estorsione, illecita detenzione di armi, turbata libertà degli incanti, dichiarazione fraudolenta, falsità ideologica e nella tenuta dei registri, favoreggiamento personale, rivelazione di segreto e corruzione per atti contrari ai propri doveri, etc.), tra cui anche la partecipazione ad una gara per la fornitura di carburanti a favore del Consorzio di Bonifica dei Bacini del Tirreno Cosentino, aggiudicata attraverso un accordo irregolare, garantito dalla vicinanza con un esponente della criminalità locale, in grado di imporsi anche in un territorio differente da quello di elezione. E’ stato acclarato il pieno coinvolgimento in questo episodio di un dipendente del Consorzio, oggi sottoposto agli arresti domiciliari. E stato altresì ricostruito il ruolo di informatore tenuto da un carabiniere “infedele” che, in cambio di svariate taniche di gasolio poi vendute a terzi, ha fornito al sodalizio informazioni inerenti alle attività d’indagine a carico dei consociati. Nei confronti del militare, condotto in carcere, l’Arma, d’intesa con l’autorità giudiziaria, ha immediatamente assunto provvedimenti di rigore al manifestarsi del suo coinvolgimento, trasferendolo, già nel novembre 2019, fuori dalla provincia salernitana in incarico non operativo. Particolarmente notevole l’entità delle misure reali, accolte dai gip di Potenza e Lecce, i quali hanno disposto il sequestro preventivo delle società Carburanti Petroli S.r.l., Dipiemme Petroli S.r.l., Tor Petroli S.r.l., Autotony S.r.l. ed altri 8 compendi aziendali oltre a denaro contante, veicoli, camion, autocisterne, immobili, beni di pertinenza dei singoli indagati, fino alla concorrenza di un ammontare complessivo di circa 50 milioni di euro.

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